Ho raccolto
il mio sorriso da terra,
a volte scivola via,
e l’ho riposto
dove il suo nascere
è luce
come una stella
vicino alla luna.
L’ho raccolto
nei tuoi occhi
profondi e scuri
che a guardarli
il cuore gioisce
occhi che raccontano di te e di me
figlio mio.
L’ho raccolto
in un abbraccio
che è amore, calore
e dove vorrei
rinchiudermi
ogni volta che,
spaesata,
cerco rifugio.
L’ho raccolto
nel tuo ridere,
e non mi importa di cosa,
io rido con te.
All’altezza del diaframma
mi hanno segato il respiro
e fu un dolore mai provato,
sconosciuto,
amaro e metallico.
Le mie silenziose urla
fatte di fibre e di vene
prive di sangue
hanno toccato il cielo
graffiando la quiete
e il blu,
quell’apparente calma ingannevole.
Mi sono sentito solo
circondato da un mondo
piccolo e meschino
schiavo di cose inanimate
per riempire scaffali di vita morta.
La polvere che mangia oggetti
non può ridarmi la vita.
Mi sento a metà.
La mia altra metà
frantumata tra le mani dure e spietate
di chi plasma l’inutilità.
Io volevo vivere.
Respirare.
Quel raggio di sole
che ogni mattina mi salutava
era un amore impossibile
ma bello.
Adesso sento che fa
una carezza sul mio cuore scoperto…
E anche se non mi vede,
io sorrido.
Sono alla ricerca dei pezzi
del puzzle che una volta
sembrava raffigurare
la mia mente
Li ho nascosti talmente bene
che non si vedono più
Ma il puzzle
dev’essere completato
come lo spettacolo della vita
deve andare avanti
Nonostante i dolori
nonostante le risate
nonostante la gioia
che mi occupa tutto il tempo
la mia priorità dev’essere
la ricerca dei maledetti pezzi
nascosti così bene
da non riuscire più a vederli
Mi danno per la loro assenza
ma stai a vedere che
la gazza ladra li ha rubati
per aprire il suo becco
e lasciarli cadere giù
proprio lì sopra
sorvolando
il grande puzzle
del mondo
Al centro di parole profanate
respiro amore e morte immaginata
si danno il cambio da pochi millenni
La testa abbandonata la scintilla
rilegge un libro di stagioni perse
il malinteso è il risaputo dio
Non detto si agita dietro una porta
ciò che è passato e che ormai non resiste
divide il detto dall’ancora detto
Ma dovrei finalmente uscire io
Qualcuno continua a dire che le parole non servono, ma forse lo dice perché alla parola non ha dato il giusto peso.
In queste parole, che ora, che già da quando hai letto “qualcuno” sono diventate impulsi elettrici passati dal mio cervello al tuo, trovi la dimora del mio Io.
Io Vivo qui, perché qui per sempre vivrò.
Il mio corpo cammina sulla terra, non la mia terra, la nostra, su cui non esiste una “mia” vita, perché sto respirando l’aria che tu hai lasciato uscire dai polmoni.
Le mani che si cercano fanno rumore e gli occhi sdraiati sull’orizzonte lontano danno vita a un altro passo.
Abbiamo il dovere di andare incontro alla nostra paura, di essere per diventare chi siamo, di porre le basi di chi saremo un secondo dopo la nostra riscoperta, di trovare gli angoli bui per viverli e raccontarci.
E dobbiamo dirci, ogni giorno, “Io sono poesia, passione, azione, evoluzione nel perpetuo moto di ritorno all’origine, origine del mio domani, domanda senza risposta, ricerca senza pretesa.
Io sono la pacata attesa di ciò che sarò.”
Non sono solo, perché ci sei tu.
Quindi nemmeno tu sei solo.
Scrivilo, se puoi.
Scrivilo ogni volta che puoi.
Anche ogni secondo.
E sarai Vivo.
UN ATTIMO di Giovanni Barco
Un attimo.
Ti trovi incastrato dai suoi occhi in un attimo.
Credi che sia giusto far finta di niente, dimenticarla.
Ma poi sai che non è vero.
Vorresti esserci per lei, coccolarla, proteggerla.
Come una rosa in mezzo alla tempesta.
Non sai come andrà a finire.
Sai solo che insieme potete portare un raggio di sole.
Le danze intorno
al fiore magico del sesso
propiziando sòrti e
rigenerazione:
tribù dentro di me
alla cerimonia del
colore
cancellano un’educazione
per sollevarne un’altra.
Viaggia il graffito
del mio nome
che ambisce a chiamarsi
nazione:
un’idea di progresso
mai coniata e
mai barattata
per utopie di sete
e conquista.
Le danze intorno
al fiore magico del sesso,
le tribù dentro di me
bruciano il ritmo
di un mistero solo
che parla e interroga
l’archeologia del
mio segno.
Mi accorgo di volerti bene
quando litighiamo
quando cerchiamo di chiarirci
quando per una volta
le nostre idee non coincidono
mi accorgo di quanto sei bella
quando potresti far valere una ragione
ma un attimo prima della collisione
fai un passo indietro
un attimo prima dello scontro
non usi la spada per ferire
scegli un’altra strada
e tiri fuori uno dei tuoi sorrisi
mi accorgo di quanto vali
perché anch’io tendo a disinnescare
pensando: cosa me ne faccio delle armi?
Se fossi un pittore
dipingerei le ombre,
dipingerei le sfumature
dei colori,
dipingerei gli aloni
intorno alle cose.
Se fossi un pittore
dipingerei il sole,
dipingerei la luce
che si abbatte sulle piante
e rende i colori
più vivi meno vivi
più verdi meno verdi.
Se fossi un pittore
dipingerei il riverbero
dell’acqua
che si muove al vento
e che crea strisce,
strisce di illusioni.
Ma non sono un pittore
riesco solo a giocare
con le parole,
parole di tutti
i colori.
