Rimangono chiuse.
Taciturne.
Spietate impronte
Feroci echi vaneggianti
Crudeli reminiscenze
Sadici boati dalle orme troppo fresche.
Le ripercorro
Ma nulla posso
Perché non salgono.
Mi lasciano nascosta,
assente, scomparsa.
Sono scomparsa perché sono muta.
Sono viva perché vomito pezzi d’anima
(perché) violo – finalmente –
La verginità inutle
Del silenzio contenuto
Nel candore bianco del foglio.
Era poco più che un ragazzo
ed era già folle.
La mala-chimica,
sua sola amica,
lo ha tradito un’unica e irreparabile volta.
Eppure in quelle condizioni
fra arresti, farmaci e medici
la sua piatta vita ebbe ai miei occhi
un risvolto di libertà.
Quel sentimento di estrema scocciatura di tutto
che porta l’inconscio a diventare il volto
consueto e più visibile,
gli fece urlare a torso nudo in piazza e
con sguardo vitreo:
“Le carte fanno il destino degli uomini!”
E nella paura
finta indifferente dei più,
io,
ci vidi saggezza.
Cosa più dovrei dire
dove anche i rari gesti sembrano molti e
notando il veloce scorrere,
quasi spettatore,
che emerge nelle distanze ultime.
Noi pelle e aria o vuoti d’acqua poi,
per essere noi e il niente.
Essere alla ricerca dell’immediato, come
non dare tempo allo straordinario,
come alla conquista girata di schiena.
Di astuzia ne abbiamo piene le tasche.
È vero come è vero che
dove tutto è non è per sempre.
Siamo eternità nelle logiche
e nel fine di ogni volta.
L’eterno reale
che muta e cambia lasciandosi coerente.
Non esistono isolati eterni
a corrergli appresso come se fosse unico disegno
e dovendo sempre,
ma non è mai per sempre,
essere assoluto.
Delle stelle
ne sa l’astronomia
dove sono
come sono
cosa sono
quando cadono
e perché
Delle stelle
ho visto
la scia luminosa
e il tonfo
l’ho nel cuore
in emozione
Delle stelle
brillare come
i loro sorrisi
ho visto
il luccichio
e gli occhi
affascinati dallo stupore
Delle stelle
un tetto
e noi
spensierati e vivaci
tra risate e burle
Delle stelle
se guardarle
è magia
allora
lasciami qui
e raccontami
una favola
o scriverò una poesia…
Se fosse possibile
farei una scorta
delle cose
che mi potrebbero mancare
o in certi momenti
scarseggiare.
Aprirei una dispensa
dove anziché farina e zucchero
metterei la tenerezza
ripiani di gentilezza
contenitori di gesti di amore.
D’amore mi riempirei
anche le tasche
e ogni tanto
ne tirerei fuori un po’
così,
per riscaldarmi il cuore
potrei elargirne in quantità
e regalarne a piene mani
ai più poveri
di sentimenti.
L’asinello ed il pastore
Sul sentiero eran di casa
Quando a un certo punto un gatto
Sulla strada si fermò…
“Qual buon vento dove andate?
Mi son perso in passeggiate
Se rientrate al mio villaggio
Un passaggio prenderò”
“Ci dispiace signor gatto”
Sbottò subito il pastore
“Ma ci sono tante ore
Per tornare fin lassù”
…”Lassù dove? non l’ho detto
Disse furbo quel felino
Del villaggio non sai il nome
Ma di già mi dici no!”
…L’asinello preoccupato
Guardò subito il padrone
Conoscendo il cianciarone
Che non era mai gentil:
…”Ce la faccio non temere
Aiutiamolo a tornare
Un po’ d’acqua fammi bere
Poi possiamo ripartir”
…”Non guadagno e farà peso
Perderemo sull’orario
E magari pure il pasto
Anche offerto lui vorrà”
…”Quante storie è solo un gatto
Pesa quanto un ramoscello
Mangerà quanto un fringuello
Che fastidio mai darà?”.
Il gattino tutto stanco
poverino lui aspettava
E sperando in quel passaggio
Disse subito al pastor:
…”Stai tranquillo mangio poco
Contenuto è anche il mio peso
Ma se in caso ti sei offeso
Non disturbo e avanti vò”
…”Non c’è posto mi dispiace
Abbiam fretta e siamo pieni
Se tu sali poi mi freni
E in ritardo io sarò”
Così presto ripartito
Discutendo e rimbambito
Non si accorse che la strada
Poco avanti lui sbagliò
…”Ricordavo c’era un faggio
Sul sentiero del villaggio
Bello pieno assai di matti
Qui soltanto ci son ratti
La farina dentro ai sacchi
E il formaggio ruberan”
…-Se l’aiuto davo al gatto-
Pensò subito il pastore
-Ora mica sarei matto
Nel cercarli di scacciar-
Basta poco ad aiutare
Quanto tanto a rifiutare
Ma se un prezzo gli darai
A pagarlo sarai tu…
Non si parla di me o di te.
Si parla di noi, ed è ben diverso.
Parliamo del tempo strappato al riposo e dedicato al pensiero, quel percorso che ha come prima tappa il petalo, come seconda le foglie, poi lo stelo, le radici, la terra, le pietre, il magma, l’estinzione, la rinascita, l’incapacità di fermare il tempo, la fotografia, l’attimo, l’eterno.
Non si parla di me e di te.
E nemmeno si parla di noi.
Si parla di chi vive fuori dalla bolla che chiamiamo “la nostra vita”.
Ed è ben diverso.
Ad un centimetro da qui sottovoce pronunciano le parole “libertà”, “attimi”, parlano delle fotografie che fermano il tempo, dell’impossibilità di rinascere, di estinzione, incendi, di pietre, terra, radici, stelo, foglie e petali.
Parlano al contrario, e spesso noi non sappiamo invertire la direzione dell’ascolto.
Non si parla di me e di te.
Non si parla di noi.
Forse nemmeno si parla di chi vive fuori dalla bolla che chiamiamo “la nostra vita”.
La notte passa la mano sulle mie spalle, sembra volermi consolare con una carezza mentre racconto la punta di una penna che buca la bolla, mi toglie la luce ma l’occhio non tarda ad abituarsi, e posso seguire una linea d’inchiostro, che non sempre lascia il segno, a volte, di lei, resta solo il tratto.
Non si parla del foglio che chiamiamo Confessore, nemmeno del senso di quelle parole cui diamo ogni volta il valore di un Testamento.
Non si parla di me o di te, non si parla di noi, non si parla del centimentro che ci separa dal resto del mondo o del percorso che porta dal petalo all’eterno e viceversa.
Non si parla.
Lo si scrive.
Ed è ben diverso.
Tu credi di non piacere
credi di non essere abbastanza
di non essere simpatica
di non essere brillante.
Tu credi di non essere.
E invece sei.
Appena oltre l’apparenza
sei una straordinaria dispensatrice
di sorprese e allegria.
Sai fare discorsi interessanti
senza mai cadere nella noia.
Sai svoltare al momento giusto.
E diventare leggera come una piuma.
Cerchi di evitare
di prenderti troppo sul serio.
Cerchi di evitare
di apparire troppo luminosa.
Sei discreta. Non ti piace darti arie.
Ma quando incroci gli occhi giusti,
quegli occhi si perdono
e vedono lo spettacolo che sei.
E anche se cerchi di nasconderlo,
la tua luce è ovunque.
Si insedia tra le pieghe del vestito,
tra le cicatrici dell’anima,
fino ad arrivare a sfiorarti
le labbra.
Eppure, nonostante la tua bellezza
sei ancora piena d’insicurezza.
Ne conservi sempre un bel po’
in valigia.
Nel bagaglio delle tue antiche esperienze,
c’è sempre spazio per i dubbi.
E sai che effetto mi fai?
Mi fai venire voglia di ucciderle,
le tue insicurezze.
Mi viene voglia di far strage di fragilità.
Mi viene voglia di dichiarare guerra
ai tuoi animaletti interiori, generatori di perplessità.
Mi viene voglia di liberare il tuo cielo,
dalle nuvole cariche d’ingiustizia.
La guerra la vincerai tu.
Alla fine, di tutti quei soldatini tormenti,
resterà solo un combattente.
L’eterno guerriero che t’illumina il volto.
Il tuo invincibile sorriso.
Piove deserto intorno,
in un silenzio sordo che
insiste a raggiungersi,
piove deserto intorno,
in una profezia d’inchiostro che
insiste nell’avverarsi.
Piove deserto intorno,
mentre canto la
superiorità del libro.
Lontano dalle ragioni del cuore
l’invidia, le passioni…
Sono il diavolo
e trascino l’anime per l’inferno!
Quando le tue mani dovessero cercare
nelle tasche di una vita non tua,
d’una cosa sarai certo…
Anche quella, come la tua, sapresti rovinare.
La tristezza nella pace non ha ragion di stare,
nei sorrisi ch’estorci ad altri
ti seguirebbe la mia condanna;
Ah! Il paradiso… Che diviene nuovo inferno.
Nella sofferenza potresti veder fantasmi
e carceri buie,
tanto insospettata l’impurità
nel cuore tuo affranto.
Silenzio di sgomento
e pianti di tormento;
questo prescrive Dio
al tuo momento…
Impara da ciò che sei,
confessa ciò che hai fatto;
metti in spalla quella croce
e accetta i chiodi che portan il tuo nome.
Se dalle nuvole volevi spiare la felicità,
issato su di un palo vedrai meglio la tua
la fine che farà.
Negare il tuo Dio
e pretendere di sapere chi son Io…
Forse nulla hai imparato.
La libertà non è fervida fantasia
né effimera frenesia;
la vita può esser una
e solo tu potevi buttarla via.
E una mattina
una di quelle mattine lì
che tutto è grigio
anche il cammino
prese coraggio
si avvicinò allo specchio
fece una promessa sottovoce
asciugando le lacrime
gettò tutta la sua tristezza
distrattamente in uno zaino
diede un’occhiata veloce al cielo
che ricambiava il suo sguardo
salutò se stessa
voltò le spalle alla porta
dimenticando i sogni sul divano
e le scarpe con i tacchi
passo dopo passo
un pensiero alla volta
abbattendo molti muri
raggiunse il sole
Prima dipingere per terra
barattoli di vernice
Poi dipingere le sbarre
del tuo colore ritrovato
Poi dipingere sul muro
parole in croce già risolte
Poi dipingerti addosso scala uno a uno
il portatore della mano che cancella
Infine si dice altrove
di luoghi lasciati
Lì dove niente ascolta né più sporca
Ogni pensiero che mi attraversa non è più la stessa cosa.
Quando scrivere del mio sentire mi pareva una trappola liberatoria…
Ora non so cosa mi sfugge, sembra scontato o già espresso e vissuto.
Eppure mi sento incompleta: derubata?
Il mio mondo di luoghi e volti ha cambiato residenza?
Il mio navigatore interiore non trova la posizione?
È inquietante per me pensare di essermi persa da tempo, quando credevo a bugie per dar spazio a
romantiche illusioni… follia davvero!
E ancora son qua che nego a me stessa i ricordi, la storia e la mia presenza, sotto un cielo assente che si
confonde in un altro cielo che non conosco.
Sdraiata sul suolo ancora tiepido di questa stanza che mi contiene, senza che nulla del Nulla interrompa il
silenzio di questa mia melodia, aggiungo un nuovo indirizzo a cui recarmi.
Stanotte rischio di annegare
nei ricordi.
E una silente nostalgia
mi stringe il Cuore.
Vorrei dirtelo negli occhi
” Mi Manchi”
e invece devo solo dirlo
alla mia mente
e offrirle uno stupido
conforto,
nel buio diffuso
dalla tua assenza
