La vita è un film che racconta la storia di una vita
con la pubblicità in mezzo
La testimonial non testimonia un bel niente
e ha dei bruttissimi pantaloni a zampa color viola
Questa casa inquadratura regina non abita il tempo
è il tempo che ci passa solo spesso nascosto
attaccato a qualche giacca a qualche sguardo rinnovato
Qualcuno vincerà dove soltanto si può vincere
l’Altrove alla cui poetica serve la casa
Un’automobile anacronistica sfreccia taglia un
deserto che in qualche modo trovo invece in tema
Il protagonista intanto stava solo invecchiando
fuori dalla nostra portata
così quel vuoto d’incomprensioni
lo riconosciamo per motivi diversi e nostri
C’è un prezzo speciale da pagare
da qualche parte
vogliono che noi chiamiamo subito
Fino a esaurimento scorte
VELI di Sandra Iai
Scusa ma non ho capito
cosa vorresti da me
Vorresti forse che
accendessi il sole
ma lui splende da millenni
senza il mio aiuto
Vorresti che arginassi il mare
ma le sue sponde
lo abbracciano già
senza il mio intervento
La verità è che
ognuno ha il suo sole da accendere
e un mare in tempesta
da arginare
Beh sì hai ragione
sono io che ti ho dato
questo mondo
senza il tuo parere
Non posso plasmarlo
secondo i tuoi desideri
Ma posso sussurrare
al tuo orecchio
la magia che contiene
solo se sai ascoltare
Posso mostrarti
cos’è la libertà
solo se apri gli occhi
e sai guardare
Troppi veli ci separano
mi vedi ogni giorno
di un colore diverso
quello che decidi tu
Non mi resta che aspettare
forse un giorno la realtà
si mostrerà ai tuoi occhi
con tutta la sua luce
Chissà se un giorno
scoprirai chi ero
sentendo l’eco
di una voce lontana
Quel giorno chiamami
sarò lì ad aspettare
Geometria di rami
e costole
il mio torace
toccato dal vento
che copre gli ideali
come un guscio
la sua perla:
è l’oceano intero.
Sposato con tutto
matrimonio del mondo
lui non cambia
io divengo
geometria dell’invenzione e
non mi piega l’ironia
dell’essere rincorso
dalle cose ferme
l’attesa della forma:
l’orgasmo della riconquista.
Non ho il sangue con cui sono nata
ho il sangue
che io stessa ho scelto
che mi sono iniettata.
Mi sono riplasmata
a immagine mia
in battaglia
e la fanghiglia
che di dosso mi colava l’ho fatta mia
perché era mia! Nella ferita è entrata
il sangue lo ha mutato
mi ha cambiata.
Non ho scelto guerra o disgrazia
ma questo sangue sì
è mio
tra i denti lo stringo
e mentre io stessa mi dolgo
ferita
a cagione del loro morso
sorrido:
il dente è rosso.
Ora li vedono
questi litri di cuore
versati
donati
mai filtrati,
arricchiti.
E questo agglomerato di
nervi tesi al prossimo agguato
è vigile.
Lo sguardo bianco,
il corpo nero
è stanco.
Sono sulla roccia
riposo
lavoro
forgio l’elsa e non ho fodero.
Attendo.
Col sapore di terra già stantia
il vento che arriva lo porta via
e mi sussurra,
io taccio,
lui ulula:
la nuova battaglia
contro si scaglia.
Mostro la spada.
Difesa.
Non attacco.
Il mio sangue parla
urla
verso di loro:
PACE.
“Country roads, take me home
To the place I belong” risuona nelle cuffie, mentre il treno scandisce metro dopo metro il suo viaggio.
Ci siamo amati lentamente e senza fretta, sfiorandoci prima i pensieri, per poi graffiare la carne e toccare l’anima, tutto improvviso, come un fulmine a ciel sereno, limpido, come quelle giornate chiare dopo una settimana di pioggia.
Del resto è proprio così che la vita ci sorprende, nei giorni meno impensati, quando l’anima è in disordine e tutto sembra apatico, come coperto da una coltre.
Forse è questo il segreto di certe alchimie, è come se gli ingredienti si fossero già amalgamati per dare vita a un nuovo impasto al quale, poi, forse, daremo forma.
In equilibrio come funamboli tra i “se” e i “ma”, in attesa di un nuovo giorno, mentre la notte sembra infinita.
Stringevo più forte la mano tra i vicoli, lì dove la luna si tuffa sul mare, dove il tempo sembra essersi annullato, dove un bacio può fermare il tempo.
“I hear her voice in the morning hour, she calls me, the radio reminds me of my home far away”, mi guardi mentre dormo, stringo il cuscino per tenere saldi i sogni, forse, potrebbero diventare reali.
Il Lungotevere mi segue mentre cammino, vorrei annegare lì la mancanza. Un abbraccio, un groviglio di gambe, pensieri, incertezze, non esiste ieri, oggi e il domani è meglio che non arrivi.
Ti accendi un’altra sigaretta, la brezza ci accarezza, le nuvole coprono i timori, cerco di mettere un po’ a posto, in tutto il mio disordine, i pensieri si affollano.
Stavo meglio con la tua maglietta addosso, mentre il mondo fuori continuava a scorrere, incurante.
Corridoi animati
da radiografie ambulanti.
Il mio sguardo basso
per evitare l’imbarazzo.
Corpi prosciugati
riflessi in specchi deformanti
piantine riarse
boccheggianti di linfa vitale.
Conto le vite accartocciate
su sedie infinitamente grandi
per forme così minute.
Spazi infinitamente angusti
per sofferenze così ingombranti.
Incontro occhi pieni di vuoto
non c’è posto per la meraviglia
troppa nebbia
a offuscare la messa a fuoco.
Ingoio le lacrime
che si affollano
e si annodano in gola.
Guardo verso l’alto
non so chi invoco
con la mia preghiera
Fa’ che tornino a contare
i passi che portano alla vita
e non i grammi che separano
dalla desiderata evanescenza.
Se tu potessi parlare
manifestare un segno
spingerti
al di là del confine
o rompere il silenzio
con un soffio di vento
o illuminare
con un solo raggio
no, una piuma non basta
non puoi confonderti
dentro un miliardo di voci
sento l’allegria
dei bambini che giocano,
le risate degli amanti
e i discorsi infiniti dei poeti
nessuno ha spento
la sveglia del 3 marzo
sta ancora lì a suonare
da quel giorno
il mondo è muto.
Se il silenzio parlasse
fischierebbe il vento.
Se la morte nascesse
squarcerebbe il tempo.
Se l’amore balbetta
seppellisce il mondo.
Se la luce è sopita
giri sempre in tondo.
Se la parola è scolpita
la mente non va in fondo.
La gestazione è l’attesa
l’attesa è sospesa,
è sospesa nel sussurro,
ché la verità non urla.
Podcast illeciti radio fantasma l’ingresso eccentrico morti che camminano la notte è troppo notte nella metropoli cadente
Non fare nulla non dire nulla che possa rompere il silenzio come se fosse l’ultima notte sulla terra
I tuoi tacchi che raschiano sulle grate del centro le galeries Lafayette le guance che mi bruciano l’Osvaldo e la barba appena fatta
La tua gonna che si accorcia quanto mi attizzano le tue gambe come il confine con il girone di ferro il mio taglio è da vent’anni lo stesso
Ci facevamo leggere il destino nei fondi di caffè la zingara sotto il ponte del Ticino in secca vecchie Alfa blu notte Milano rovente
Bamblaniamo e tiriamo tardi sotto la luna di Pigalle le Chat Noir ci portiamo via una birra scura e un mojito Camel Light come se piovesse
Ci raccontiamo storie qualche novità ricordi stupidi canzoni al festival di Sanremo ti fermi mi abbracci sai di menta e lime io di Guinness
Finalmente abbiamo smesso di spezzarci il cuore perdere la pazienza per gioco e fare la pace sotto le lenzuola il sabato sera
Savoir vivre Parigi e panchine traballanti dove baciarci mangiare gelati alla fragola strusciarci guardare la Banlieue passarci davanti come un videoclip Kiss Me
Sixpence none the richer foglie d’oro nelle crepe dell’asfalto spaccato da alberi vecchi come fantasmi di sabbia
Giochi con le dita mi accarezzi una cicatrice sulla mano destra che non si chiuderà mai i tuoi polpastrelli lisci sono il caffè nero la domenica mattina
I tuoi capelli la magnolia sul piazzale della chiesa i tuoi occhi il mio quartiere eravamo piccoli teppisti invincibili battevamo strade di periferia scommesse a perdere
Le carte aperte sulla cassa dell’emporio la tipa bionda passava il tempo a fare giochi di prestigio mi strizzava l’occhiolino tu le avresti dato fuoco
Ricordi come un treno regionale straccioni addormentati ubriaconi a litigare con gli specchi lancia un dollaro per aria testa o croce
La carovana del circo ci copre di coriandoli mi diverto a togliere quelli incastrati nei tuoi capelli mi piace il suono del tuo nome la mia voce stanca
Sorridi fissi un punto dietro le mie spalle come se volessi piantarmi in asso ci infiliamo nell’ingresso di un vecchio albergo
La reception deserta buonasera signorina posso aiutarla chiamo l’orchestrina improvvisiamo due giri di valzer
Cerchiamo la suite più bella il frigobar pieno chiameremo casa questa terra scura io e te, il vento ancora freddo, io e te, il Mi basso del fender nero,
Silenzi siderali, jazz, rum, ci daremo appuntamento sotto il solito lampione all’incrocio dietro casa tua
I taxi in coda tu che non porti il reggiseno, una voglia da sbranarci.
Parigi, che spreco, se non avesse la notte.
Voci corrotte
Spazio usurpato –
Un giovane fiore ignora le regole
Strade tracce sentieri
Di facili scelte di ieri
Perduta tra piccole rime
Sono parte di un tutto
E non so come uscirne
Sono di terra sconosciuta
Sono un sasso ai piedi
Di un albero spoglio
Sono vita di un mare di scoglio
Eravamo una distesa
Un mondo di sorpresa
Una poesia sospesa
Angoli e non ipotenusa
Cerco raggi ora
Per contenere perimetri di me
Toccala la luna
Falla brillare
Mi farà luce
E chiaro sole per camminare
Anche stasera mi è venuta a cercare.
Ormai viene a trovarmi tutti i giorni.
Non perde occasione.
Mentre guido.
Quando porto a spasso il cane.
Quando sono in fila alla cassa del supermercato.
Quando mi reco a piedi al lavoro.
E non si scoraggia, nonostante la mia noncuranza e la mia poca attenzione degli ultimi tempi.
Sa che non posso fare a meno di lei.
Sa che questo malessere è dovuto anche alla sua mancanza.
Allora mi riempie la testa, rubando immagini dai miei occhi e frugando nei cassetti dei ricordi.
Apre il cuore e sfoglia l’anima, riaccendendo in me il desiderio di trasformare emozioni in parole.
L’inverno
nella sua attonita attesa
di una primavera che perfeziona i colori
nel silenzio del suo cuore.
E lo sa;
lo sa che al suo arrivo
si dovranno salutare.
La sua commovente attesa
è un attimo effimero
che diventa eterno
nello scambio, si respirano accanto
donandosi senza pretese.
Si sfiorano gioia e malinconia
e la natura ne percepisce l’incanto.
All’istante alza il capo
e trattiene il fiato;
e nel mentre, fiorisce.
Quel fiore
non è lì per caso;
aspettava te.
