Gentile Signor “H”,
come ripromessa… a me stessa in fondo, e niente più, vengo a sciverle quanto segue,
devo dire che non è proprio una promessa la mia, ma un… un gioco?
Poco importa, di fatto scrivo, a lei Signor “H”, concentrandomi su un’immagine, che in fondo non conosco…
Non ho mai capito veramente lo scopo delle conversazioni, a volte sembra abbiano un senso, o un significato addirittura, e poi come niente virano, o galleggiano, nella mente di ognuno, dove ci sono infiniti spazi, da riempire e costruire, è vero poi, a proprio piacimento.
Non consideri le mie parole, forse anche inutili, né giudizio, né critica, ma solo parole, dove anche lei se lo desidera, può costruire le sue immagini, quindi non è nemmeno necessario che le consideri, mi piace cercare, e a volte anche trovare dei percorsi che possono semplicemente rimanere sospesi, tra me e il Nulla…
Mi domando, e non necessariamente mi rispondo, quali siano poi, i piaceri della Vita, si dice “nelle Piccole Cose”, scrivo Piccole con la maiuscola, per via di un ossimoro che mi perseguita… rido, ovviamente, perché ridere mi piace…
E lei Signor “H”, ride poco, forse?
Per imposizione autoinflitta, o forse, semplicemente questa esistenza, le sembra poco ridicola, meno di quanto vorrebbe credere??
Ma, niente, vede, scrivo così, solo perché qualche volta le parole si compongono da sole, io faccio quello che loro mi dicono…
Signor “H”… mi chiedo, quale differenza trova lei, tra un lunedì e un giovedì, se anche fossero diversi, lei lo vorrebbe vedere?
Mi dico, chi cazzo sono io, per scrivere di questo, a lei che non conosco… infatti, lei lo sa bene, che tutto questo, potrebbe essere ignorato, e certo!
“Certo”, è una parolina, che asseconda in qualche modo, come se qualcuno secondo lei avesse questa necessità, ma davvero?
Mi domando, fino a che punto, questo mondo di Narcisi, ci coinvolga, e davvero quanto importa secondo lei l’apparire? Grasso o magro, ad esempio, o appena sovrappeso, chissà cos’è che la far sentir bene, perché vede, Signor “H”, posso chiamarla solo “H”, come se fossimo più in confidenza?… Dicevo,vede “H”, la sensazione che mi è giunta, attraverso i nostri scambi, è quella, che in fondo, forse, chissà… non ci sono molte cose che la fanno sentir bene…
Che presunzione la mia!!!!, Ma che importa, noi non conosciamo chi è lei, forse lei sì?
Anche il Tempo che ci attraversa, ci comunica qualcosa, è che ci duole ascoltarlo, lo consideriamo un ostacolo all’infinito, all’eterno, mammamia, che brutta parola!! Tempo???, no, no, Eterno… carica di affanni e disillusioni, di corse inutili al niente…
“H”… mi si spegne ora, la sua immagine… forse, è tempo di sognare…
Con affetto, vado a chiudere il sipario, di questo atto… sconosciuto.
Se cerco la divinità
la trovo in quel modo
che ha ogni bimbo
di sollevare il mento
mentre fa una domanda
alla persona alta
che lo tiene per mano
Le domande dei bimbi
sono sacre
non si dovrebbe mai
eluderne una
Loro sollevano il mento
fiduciosi di ricevere verità
poi lo abbassano un poco
per rifletterci su
e nel frattempo si poggiano
con la pancia
sulla pensilina del tram
lasciando ondeggiare i piedi
per aiutare i pensieri
a volare più in alto
Troppo spesso
non ho risposto alle tue
perché ero troppo occupata
a tirarti via dalla strada
che sta arrivando un’auto
o a correre a scuola
che è tardi
Un giorno mi hai guardato
proprio così
sollevando il tuo piccolo faccino
con quegli occhi che a guardarli
sembra di fare un tuffo nel mare
quel giorno mi hai detto
che ero la mamma più bella
per un po’ ho camminato
sopra una stella
Beneficio del sogno
in esso la possibilità
Beneficio di inchiostro e penna
in essi identità
Beneficio di parola e poesia
perché di esse
figlia indegna e legittima
che di onnipotenza
l’immortalità effimera
affamata vive
E se fosse possibile
fermare il tempo
lo fermerei a modo mio.
Facendo scorta di raggi di sole.
Curando petali di bellezza.
Trasformando le ore in fiore.
In qualsiasi momento della nostra esistenza
ci è concesso
di creare un giardino.
Emanare luce.
Diffondere positività.
Senza dimenticare di dare il benvenuto
alla tristezza.
Le anime più belle
sono sempre bagnate
dalle lacrime.
Ogni difficoltà è preziosa.
Ogni pianto diventa forza.
E tutto questo accade,
puntualmente,
nel regno della consapevolezza.
Paesaggio umano
raccogli tante facce.
Punti di vista
multipli, fissi, variabili.
La montagna è alta?
Il cielo è azzurro?
Quante onde increspano
il mare?
Il panorama scorre,
non è mai uguale
dalle nuvole alla terra,
dagli alberi al mare.
La cartolina lo fissa,
lo guarda e lo trattiene.
Forte tentazione
di lasciarlo così,
fermo e uguale,
di salutare amici
di mandare baci.
L’immagine standard
è cristallizzata,
ciò che non è più
continua ad esistere.
Dolce nostalgia
di tenere in piedi
ciò che è assente,
di fermare la crescita
di ciò che evolve.
Le radici affondano
profonde,
scavano il terreno
saldamente, stabili,
in equilibrio.
Un pino corre
in verticale
straccia asfalto e tubature
cede alla tempesta
danneggia le vicine
istanze, il vento fischia
nei suoi rami.
Shhh. Silenzio, ora.
Il paesaggio è mutato,
e muti contempliamo
l’orizzonte.
Ci sono silenzi che parlano,
ci sono silenzi che pensano.
E ci sono parole
superflue
che fanno solo rumore
e ci sono parole
che rotolano
solo per rompere
l’imbarazzo.
E ci sono parole
che aspettano,
aspettano il tempo
opportuno,
Poi ci sono orizzonti
che cambiano
che non riuscirai
a incorniciare
perché
mentre tutto si muove,
le tue radici
scendono sempre più
in fondo.
Prendi un respiro, profondo, e buttati. O meglio lasciati cadere.
Permettiti di precipitare.
Non sono assenza di luce, sono materia densa e viva. Non mancanza, ma pienezza.
Quando ti concederai di entrare in me, riempirò tutto.
I tuoi occhi, non più abbagliati dai colori, potranno finalmente vedere e riconoscere il vero. Cadranno le sovrastrutture, le apparenze. Tutto sarà limpido oltremisura.
Le orecchie avranno riposo dalla cacofonia delle parole inutili, delle menzogne, delle lusinghe e nel silenzio assoluto udrai il battito del tuo cuore. Sarà stupore riconoscerti vivo.
Avvolto da me, avrai la percezione tattile di ogni atomo, non saprai distinguere se sono io o tu, sarò oltre e sarò tuo. Una pelle nuova fatta di velluto che conoscerà contemporaneamente il possedere e l’essere posseduto.
Avrai movimento senza peso, ti sembrerà di camminare, correre, volare eppure stare immobile. Galleggiare. Come in una placenta, amnios che rigenera.
Non ci sarà più tempo e fretta, solo l’istante da godere, pieno di presente.
Potrai perfino assaggiare il mio sapore. Saprai che l’avevi dimenticato e sbalordito tornerai a comprenderlo come se non ti fossi mai allontanato da me.
Scenderò lentamente nei polmoni, ad ogni respiro, e da lì al sangue che mi porterà a raggiungere ogni cellula.
Non temere.
Non temermi.
Sciocche sono le superstizioni che ti hanno instillato, facendoti credere che io sia freddo e solitudine.
Proverai la sensazione di essere uno con tutto, non più piccola parte, ma vastità senza confini.
Risorgerai, creatura nuova e consapevole che la realtà quotidiana non è che dettaglio di finitudine davanti alla mia, e alla tua, se vorrai, immensità.
Vieni.
Lasciati cadere.
Non ho occhi da riempire con tutta questa
meraviglia
blu
il respiro non mi basta
a contenere la
bellezza
di un vento soffiato da nord
le lacrime e i laghi si specchiano
ce ne vorrebbero miliardi
non le ho
e intanto
il tempo scivola sulla mia pelle
ghiacciata dall’eleganza
della neve
porta via premure e detriti
in cambio lascia paure
lo stupore resta intatto
L’ultima casuale immagine avrai tra poco
darà quella luce sulle mancate coerenze del mondo
attesa e insospettabile come ogni arrivo velo spiegato
e ciò che non hai osato chiamare fine
perché tradiva sempre la tua paura la tua fede
la bella inquadratura che non sei ancora stato
neanche con l’invenzione del tempo in aiuto
per gettarti in pasto al fingere la parola assente
a confidare in millenni di riparazioni di occhi come questi
a cura degli allievi di chi non ne ha avuto competenza
ma salvati sottraiti abbi anche tu finali ridicoli
prima che sia troppo tardi o che tu sia troppo grande
prima di vincere voltarti pensare correzioni
Alla fine
Si spegneranno
Anche i falò
E le chitarre
Cesseranno di suonare.
Alla fine
Resterà solo il mare
A coprire
Le voci dentro
Di ogni mia età diversa
Che contengo.
Alla fine
Cadrà una stella
Fugace
A ricordarmi
Dell’effimera bellezza.
Alla fine
Resterà solo il mare
A coprire
Il silenzio fuori
Necessario e rispettoso
Mentre lo sguardo
Cercherà risposte
Nel blu
Della notte.
Ogni tua parola
è una goccia
d’autunno sul collo.
A catinelle scendi
con le tue nuvole
uncinate, stelle dolenti.
Io mi lascio pettinare,
distesa d’erba
appena smossa,
che profuma
di te, amore
appena sfornato.
Eri seduta sul bordo della fontana…
Quella a sinistra del casello
Lungo la ferrovia vicino al giardino
Dove nonna piantava i fiori per il cimitero
Avevi i capelli biondo chiaro riccia…
Mi guardavi strano…
Io ero quella che veniva
Dalla città… piccola… troppo bianca… magra
Con i calzettoni ricamati bianchi e sulla braccia un maglioncino rosa
Ero impacciata paurosa… sensazione che ho ancora adesso
Mi guardavi come si guarda un animale sconosciuto
Io guardavo la fontana
Non mi era permesso bagnarmi tanto meno ad una fontana fredda
Io ero quella che aveva sempre la febbre
Ero il nome più chiamato di tutti
Lo strillavano tutti da nonna in poi
Fino all’ultimo…
Tutti dovevano sapere dove fossi per non correre rischi
Quel giorno non avevo risposto a nessuno
Ti avevo visto lì alla fontana
Eri arrivata col tuo cane gigantesco
Che ti seguiva dappertutto
E mi ero allontanata…
Ero talmente piccola che passavo inosservata…
Ti avevo raggiunto
Sapevo cosa stavi per fare
Lavarti i capelli con la saponetta
In quell’acqua gelata…
Dio quanto mi piaceva quando lo facevi
E quanto avrei desiderato farlo anch’io
Ma mi era assolutamente vietato
Tu continuavi a guardarmi
E poi via quasi per sfidarmi
Hai messo tutti insieme i capelli dentro
Buttando giù la testa
All’improvviso
Mi hai schizzato apposta
Sentivo gli schizzi dell’acqua
Non so quanto tempo rimasi con gli occhi chiusi
Ricordo colori… sapori…
Sensazioni…
Il fresco sulla pelle
Poi sentii il treno fischiare
Prima della curva…
A volte quando chiudo gli occhi
Sono ancora lì…
Squarcio di luce,
la luce,
seconda pelle
armatura per me:
l’acciaio migliore una
lega di fame e destino.
Crociato del nulla:
presa è Jerusalem,
persa è la causa.
Fede nella pietra è
fede di pietra,
economia d’ anime
a Jerusalem,
ego mi assolvo:
persa è la causa
nuova la conquista,
anima cambia la pelle
cavalco e cavalco
la luce, la pelle.
Passano i giorni, i mesi, ed anche gli anni,
Il calendario evapora, diventa evanescente
E l’orologio incespica singhiozza e poi si ferma
Tra mille assenze e pallide incoerenze.
E lì si resta, immobili
Collezionando attese
Rigurgitando sogni e tiepide speranze.
E sopraggiunge l’alba, e con essa un nuovo giorno
Gli occhi il viandante apre
Svegliandosi dal sonno
E indietro sul cammino lui pensa di tornare
A raccogliere i suoi passi
Provando a ricominciare.
E mentre rincorre se stesso
Volendosi afferrare
Il tempo segna il passo
E l’orologio corre, continua a ticchettare.
Passano i mesi, i giorni ed anche gli anni
Il tempo va vissuto nel bene e anche nel male
Perché quando ti fermi e indietro vuoi guardare
Nel cuor brucia il rimpianto
Ma indietro non puoi tornare.
Si può morire di vita
e vivere di morte
Quasi strisciando ti manifesti
ai nostri sensi,
subdolo, infido come un male
incurabile.
La presa di coscienza,
l’ammissione della tua presenza,
gela gli intestini.
Ci fa stringere stretti fino al dolore,
in un abbraccio muto.
Gli occhi sgranati,
il mento puntato al soffitto,
le bocche socchiuse e
le orecchie sintonizzate
sul tuo ronzio.
Una muta preghiera,
un unico mantra martella
nelle quattro teste di una famiglia:
“Cadi adesso… Cadi adesso… Cadi adesso…”
Ma il tuo mortale ronzio,
che par quasi giungere dal ventre
del diavolo,
questa volta continua e si fa forte:
sempre più minaccioso,
sempre più reale.
D’un tratto tutto orribilmente tace…
I nostri cuori in gola
hanno smesso di battere,
come un pugno di pietra
bloccato nella faringe.
I petti gonfi, l’aria che
non passa dalle narici…
Chiudo gli occhi, quasi
stritolo la mano di mia figlia
e comincio a contare
ancora una volta:
“1…2…3…4”
Donna colorata dai raggi del sole
luna luminosa nel cielo notturno.
Donne impetuose come tizzoni ardenti
solitarie meteore o stelle cadenti?
Combattenti e volitive
dolci e sensuali
Donne…
Musicali e melodiose voci
nell’anima di una donna
contro il mondo in guerra.
Schiaffi assordanti
sulla pelle innocente.
Mai più.
Booom!
Senza alcun permesso
esplodi
m’invadi
mi stravolgi
m’incanti
mi costringi
a farti entrare
dentro gli occhi
dentro il cuore
crescere con ogni fibra
battere con ogni battito
farti parte di me
seguendo il fluire dei miei sensi,
non lasciando spazio
per finte grandezze,
ma creando posto
a piccole meraviglie.
Non posso fare a meno
di inchinarmi
colmare le mancanze
ammirarti
muta
e silente
davanti a te,
PRIMAVERA !
