Sono stato sull’orlo del burrone.
Per diventare l’orlo, il burrone, la caduta, l’ultima onda sotto l’ultimo cielo dell’ultimo mio attimo di morte.
Sono stato l’amore.
Per diventare il suo sangue, la sua ombra, la sua assenza assordante, la sua notte ubriaca di gin del discount, le sue nocche rotte, il suo strisciante ritorno.
Sono stato uno sguardo infinito.
Per diventare la fine, la solitudine di una folla, la numero otto finita in buca al primo tiro, il lucchetto senza chiave, i denti rotti sotto la morsa della rabbia.
Sono stato una foresta gonfia di esistenze.
Per diventare un pugno di terra rossa soffiata dal Sìmun, la casa abbandonata dal paguro, il cono d’ombra dell’eclissi, il ramo spogliato del glicine.
Poi sei stata tu, siamo stati noi, e le innumerevoli morti vissute sono diventate pane per questi fogli.
Cosa scrivo?
Il poema dell’inesistenza dello spazio e del tempo
e del loro fare un bel male
Tutto intero il libro del mondo
nel piccolo mio capitolo del libro del mondo
Che sono un uomo che vuol dire qualcosa
dentro una parola vuota che vuol dirmi qualcosa
Che dire cosa è già un come e un perché
L’amore e le sue belle forme che abitano per mai riempire
il senso dell’udire
Il silenzio che ci chiama
e quello che ci attende e ci comprende e ci comprende
Che la domanda vincerà sempre
E tutto ciò che non scrivo
Il libro fa il gesto dell’abbraccio
prendendo i tuoi pensieri
li custodisce nel segreto
delle sue pagine
chi vorrà muovere i suoi passi
chi si soffermerà al suo interno
avrà preso la decisione
di entrare e bere quel siero
che sia dolce o amaro
lo farà scorrere nei suoi occhi
e forse lo terrà con sé
per molto tempo
a volte
tutto il tempo
di un’intera vita
Ti diranno di non cantare perché sei stonata
ma non conoscono le note che porti dentro
Ti diranno di non parlare perché sempre fuori luogo
e non conoscono però quel luogo
Ti diranno di controllare i tuoi pensieri
Di non osservare il panorama dalla finestra
Di non provare a guardare il sole
perché sai, nessuno riesce a guardarlo
Di non salire sull’albero
Di indossare bene la camicia
Di sacrificarti per poter poi morire da eroe
Di non cambiare nulla di quel che:
“si è sempre fatto così”
Di non sorridere troppo
Di essere al passo con le lamentele
Di mostrare i tuoi impegni
Di osservare il dramma ed in fine di sparire con esso.
Di questa compostezza me ne sbatto altamente perché conosco il fuori luogo e credimi che sei impantanato nella parte brutta dell’illusione.
Se vuoi che indossi la camicia
me la devi mettere
Se vuoi che la mia bocca smetta di sorridere
me la devi chiudere
Se vuoi che non osservi il panorama dalla finestra
devi prima costruire i muri e poi la finestra
Se vuoi che i miei pensieri siano controllati devi smetterla di provocarli con questa razionalità
da quattro soldi
Se vuoi che non osservi il sole
devi cavarmi gli occhi
Del fil di ferro non si cura il vento
Per un fiore capovolto il terreno è il firmamento.
Qual è il corretto modo di respirare?
Non siamo nulla se non accogliamo la bellezza che abbiamo intorno.
Lasciamoci affascinare da un filo d’erba, chiediamo qual è il senso al primo fiore che incontriamo.
Mettiamoci a dialogare con il silenzio.
Essere vivi significa percepire l’eterno, guardarsi dentro e cogliere l’infinito.
“Se Dio esiste non è anche dentro me”?
Fidiamoci allora, zaino in spalla e via, inizia l’avventura.
Tra sangue ed euforia, dubbi e speranze, sorprese che profumano di rinascita.
Godiamoci la musica del giorno e l’elettrizzante emozione di sentire l’aria sulla faccia.
Camminiamo con l’anima di chi sa che non dovrà più morire.
Siamo qui, nati per stupirci.
Stupiamoci quindi: ogni sentimento che sentiamo sulla pelle è un miracolo che si rinnova.
Tenerezza, gioia, dolore, sorrisi e lacrime, adrenalina e sconforto; reazioni vincenti: cadere per rialzarsi più forti, essere grati, gelosi, e infine pazzi.
Vivere significa alimentare follie.
Solo i folli sanno apprezzare le infinite sfumature dell’esistere.
Solo i folli sanno chiudere gli occhi e continuare a vedere.
Vedere cosa? L’invisibile, dietro la tendina delle apparenze.
La vita è piena di doni nascosti.
Vivere è andare alla ricerca di questi doni inaspettati, delle incredibili meraviglie che solo la mente di un folle può scovare.
Benvenuti su questa terra, miei cari folli.
Il mondo è vostro.
Non servono parole
per raccontarmi la tua sofferenza
Il tuo sguardo parla
I tuoi occhi, il tuo volto, le tue mani dicono:
“sto male”.
È un fiume questa pena:
l’impeto delle acque irrompe
e sommerge le barriere.
Non lasciare
che abbandoni il suo letto,
argina questa furia.
Solo tu puoi farlo.
Dai una forma al dolore,
circondalo con uno steccato,
privalo dell’infinito,
permettigli di occupare
solo uno spazio definito.
Il dolore senza forma soffoca,
è un gas che si espande,
si insinua in ogni piccola fessura,
non lascia posto ad altro.
Non puoi eliminarlo
accoglilo
ma confinalo.
Quella porta di tanto in tanto si riaprirà
e tu ne varcherai la soglia
consapevole
che ci sono altri spazi da abitare.
Il dolore non è l’unica stanza del cuore.
PORTAMI CON TE di Valentino Picchi Hechìzo
Portami con te
nei lidi oscuri
degli intendimenti:
lì dove l’impresa
è una tentazione attuale,
nell’abbraccio dei romanzi
soavi d’illusione e trame, dove
le muse dormono
e gli artisti vegliano
sul fronte della libertà,
dove il cibo
è nettare di sfide
tra i cui petali germoglia
il rumore delle generazioni,
portami lì con te,
che io ne possa cantar
le cronache, viverne
le imprese, i sogni e
custodirne il seme
per i miei deserti
intorno.
Feste a casa tua per noi due soli Little Tulip ci sono sconosciuti tatuati a spasso per la Città Immobile
Tieniti lontana dai vicoli dei retri mezzi bui Bad Santa è in giro e in cerca di divertimento Old Boy
Musica invisibile come cani a spasso per il bronx Devils and Dust chissà che fine ha fatto il vecchio rabdomante
Avrà trovato un biglietto gratis per L.A. ciak irremovibili per improbabili b-movie Grindhouse Stuntman Mike Chevrolet modificate
Grandi magazzini squallidi trattorie puzzolenti di frittura e barbera dopo trent’anni a mescolare cassœula potresti iniziare a puzzare di marcio
Nugoli di zanzare come la Royal air force prendono la mira le preghiamo di non mescolare il nostro sangue a quello dei balordi di Milwaukee
Un’assemblea di ratti copre un intero ponte dietro Notre-dame si montano si sbranano si sbattono per finire il cadavere di un gatto
Out of time si può essere tante cose ma stringi stringi dobbiamo solo scegliere se essere fedeli o imbroglioni il resto sono tutte balle
Lampioni bruciati da un secolo che nessuno si azzarda a riparare come se Godot potesse davvero spuntare da dietro l’angolo del viale
Illusioni andate a male trovami un grillo parlante con la massima urgenza stay away baci selvaggi e libertà d’azione
Una cisterna di veleno svizzero mi ha fatto ombra per tutto il viaggio fino a qua ho sognato ancora di non essere più io
Tizi con hamburger e coca cola calda seguono la campagna elettorale e non sanno più per chi diavolo votare
Che fatica stare al mondo dopo mezzanotte a meno di essere un killer o un maniaco omicida lo Sconosciuto Largo delle tre api
Full Moon non sempre la vita finisce in gloria la vecchia della quarta panca si gira a controllare la chiesa alle sue spalle a ogni rumore
Charlie bird Parker improvvisa una jam Clint Eastwood voglio diventare un vecchio rognoso con la patria infilata nel baule di una Gran Torino
Alziamo i tacchi domani sera gioca il Milan e devo incominciare a preparare tutte le mie menate scaramantiche
Sono una montagna di orgoglio ferito e complessi Yankee in coda per il cinema Aguirre furore di Dio e Fitzcarraldo state of mind
Chiudiamoci nella stanza lurida del primo motel in mezzo al deserto qualche ora per convincerci che l’amore esiste davvero e che dev’esserci solo scappato dalle mani
Quando ha perso la sua forma originaria il dente del giudizio che non mi è mai guarito la cicatrice da sciacquare con il listerine che porco il mondo sembra di bere candeggina
Il mio odore cerca un compromesso con il tuo cerchi come sassi nel laghetto del vecchio Edmonde passi falsi che dovrei dimenticare
Leo Messi sulla pay TV caccia scema mezza squadra ti imbamboli a guardarlo il commentatore inglese trova una soluzione a tutti i nostri dubbi: “but can you do it on cold rainy night in Stoke?”.
Siamo ancora noi la coppia che si bacia alla fermata dell’autobus per Bogotà.
Faccio di tutto
per nascondere sotto filtri queste rughe.
Perché
mi è stato rubato un pezzo di vita,
la giovinezza.
Ho perso il colore delle ali
sbattendo su muri
d’indifferenza,
d’arroganza
di niente e nulla
che valga un verso.
Scrivo questi, per me,
e la mia giovinezza dissolta
nel mio sangue non troppo rosso
lento nelle vene
testardo al richiamo
della morte.
Mi sono fatta sfumatura
per non morire nel rosso mancato.
Mi son fatta poesia
per vivere in mezzo al nero.
Mi son fatta nuova
indefinita
come una virgola.
Nel mezzo della vita
divido i concetti
e affermo un assurdità.
E me ne frego.
Portami lontano
con un bacio
una carezza,
prendendomi per mano.
Abbracciami a sorpresa
mentre mostro a te
la mia parte lesa.
Naviga da dentro
il mare dei miei occhi
al porto non far rientro
se i miei singhiozzi
son troppo corti.
Asciugami le parole
con un sorriso,
se son troppe stendile al sole
poi guardami
e vedrò il Paradiso.
Crescere grazie e nonostante.
Grazie agli esempi e nonostante gli esempi.
Cosa c’è di innato
e quanto di appreso
in noi.
Siamo anime in forma
che cercano un sostrato
per superare i propri limiti.
Uguali e diversi
somiglianti ma autonomi,
non c’è spiegazione razionale,
siamo già noi
pronti a testare
i nostri limiti
a superare
i nostri livelli.
Scopri il tuo game over
e ricomincia da capo,
supera nuovi ostacoli,
il livello successivo
porterà una crescita.
Come le ghiande
Di Platone,
realizziamo il nostro
fine,
lo scopo per cui viviamo
la realizzazione
del nostro essere.
Spalanco la finestra
Per inspirare l’aria fresca della sera.
È già alta la luna
Ed è coperta da un velo
Che ne cela la bellezza
E ne aumenta il mistero.
Troppo spesso mi sento anch’io così
Appannata.
Tra le stelle un luccichio
Di sgomento
La lama del turbamento brilla
E il cuore trema
E trema la foglia
Chissà se pervasa da qualche sentimento.
Soffia forte vento
Soffia libero
E fai volare via
Questo velo
Che ci offusca.
Ho sentito
Un battito d’ali
Un rumore discreto
Uno sguardo dal vuoto
Eri tu che chiamavi
Che seguivi ogni mio
Piccolo istante
Tu che sei mare
Che agiti tempeste
Bagni pensieri
Tienimi con te
Io terra distratta
Sperduta strurusa
Non ho più
Sentieri da esplorare
Sono rabbiosa
Cerco parole
Attaccate al dolore
Cerco ragioni
Per sostenere perdoni
Lascio catene
E facili orgogli
Non ho più appigli
Ne stupidi imbrogli
Eri un racconto
Nascosto nel buio
Uno gnomo nel bosco
Di giorno
Ero io che inseguivo
Un bel sogno
B: Vi chiedo scusa, vi chiedo scusa perché sono uno sporcaccione, vivo di alcol e sigarette e non me ne frega un cazzo di nessuno. La macchina da scrivere è la mia pistola e ammazzo di parole la gente comune… comune… normale, che brutta parola, inventata dal potere per confinare i deficienti in azioni senza senso, lubrificatevi così farà meno male (ride). Le donne mi hanno rovinato, ho dato sempre tanto, tutto, troppa bontà. Io vi ho regalato me stesso e voi mi pagate con una bottiglia di vino, con questa bottiglia mi volete ammazzare… allora toglietemi l’alcool e, io, non sono più niente. L’alcol innalza tutte le cose inutili che vi racconto.
(Cambio di voce, i personaggi sono due, Bukowski e Kerouac, l’uno irriverente, volgare l’altro tranquillo, gentile e pacifico)
C: Ok ti sei divertito ora posa la bottiglia e vieni via, la devi smettere di dare spettacolo, basta che ci siano quattro persone a guardarti e diventi un essere insopportabile. Ti accompagno a casa, andiamo… non farti pregare, ricordati cosa succede quando bevi troppo: poi vomiti e (rivolgendosi al pubblico) vi assicuro non è un bello spettacolo. L’altro giorno eravamo in ascensore, doveva dare un’intervista a una radio locale di San Francisco, caro il mio sporcaccione, ha vomitato in ascensore e l’hanno tenuta ferma per un’ora perché ha rigettato due giorni di alcool in due secondi… mah a volte fai veramente schifo.
B: E’ proprio grazie a questa (indica la bottiglia) che vi dico le cose come stanno, volete sapere, quanto vi resta da vivere guardate il cielo e contate le nuvole, alzate gli occhi di notte sul nero che vi sovrasta e ditemi quante stelle vedete, respirate la merda di questo mondo e, sinceramente, ditemi che puzza sentite. Il mondo marcisce più del mio fegato e io dico solo le cose come stanno, non sono un artista, uso le parole per sputarvi in faccia la realtà. Mari di plastica e foreste di plastica, decidono gli altri cosa dovete essere, io non c’entro nel vostro balletto, io sono fuori, fuori confine, fuori stazione, oltre i sacchi di sabbia che vi servono per difendere il vostro orticello. Cannibali di speranze, vi mangerete tra voi, perché l’essere umano non condivide, strappa via. Io non sono Jack sempre alla ricerca di Dio… quale Dio, dove? Noi siamo morti, il Beat è morto, ancora qui noi a fargli la respirazione bocca a bocca… stacca la macchina Don, il Beat è deceduto, i movimenti sono solo i nervi, residui di soffio che si dissolve… la musica, la musica è tutto, quel Beat non può morire, moriamo noi esseri umani.
C: Dai basta con queste stronzate Hank, andiamo, il pubblico è stanco dici sempre le stesse cose.
B: Il pubblico si diverte a vedere un ubriacone che delira e che vorrebbe prendere tutti a calci nel culo. Voi non sapete quanto siete lontani dalla verità. Vivete nascosti dietro le vostre tende e guardate la vita attraverso i vetri delle vostre belle casette profumate. Leggo le mie poesie perché me lo chiedono, non lo faccio per sentirmi dire che sono uno scrittore, che sono un poeta, io sono Henry Charles Bukowski, scrittore che pensa di esserlo e non lo dice… io scrivo perché è l’unico modo che ho per fare la rivoluzione. Voi che fate per sovvertire le cose? Vi piace tutto di questo mondo? Se non vi piace cosa fate per cambiarlo? Io scrivo e so che scrivere mi ucciderà, non è l’alcol a devastarmi… è l’arte che mi uccide, chi crea non può sopravvivere alla forza dell’arte, muori e allora tutta la bellezza viene a galla.
L’altra mattina, passeggiavo, mi guardavo intorno… poi i miei piedi… poi il cielo e improvvisamente pezzi di cielo hanno iniziato a cadermi in testa, li vedevo solo io. (Pausa) Non mi credete? Pezzi di cielo grandi così (fa un gesto ampio con le braccia). Un enorme pezzo di azzurro mi si è conficcato proprio qui (indica la testa) ha lasciato uscire ogni pensiero, ogni idea che avevo custodito per anni, tutti i miei buoni propositi, i miei attaccamenti, le mie astrusità e le mie convinzioni, hanno iniziato a volare via, come aquiloni, come palloncini scappati dalla mano di un bambino; io ora non ho più niente da darvi. Anche se qualcosa resta sempre attaccato alle pareti. Flebili residui polverosi di un essere che non è più. Io cambio ogni giorno e ogni giorno mi stupisco di non essere più quello che ero. La memoria lentamente si appanna e col vino tornano a galla solo le emozioni e i ricordi sono ammassi di sentimenti irriconoscibili. In Vino Veritas e io vi sto dicendo tutta la verità, la mia perlomeno. Karen che canta l’amore perduto e Allen che innamorato urla contro il mondo… io non urlo contro nessuno. Mi hanno regalato una volta un revolver, che razza di regalo è? E’ come regalare veleno per topi o un lanciafiamme. C’è gente che mi vorrebbe morto, ma che male faccio io se sono incazzato e scrivo perché non riesco a dormire! Sento su di me il peso degli anni, di tutta la memoria che mi schiaccia. Mi sento come se fossi una piuma di uccello bagnata, pesante che sofferente tenta di librarsi, lasciandosi portare dal vento. Ma l’acqua non lo permette. Allora mi lascio portare dalla schiuma del mare che cancella i ricordi e lava via il fango di anni corrotti. Fuori! Fuori tutti da questa giostra, si scende io non ho più doveri, non ascoltate le mie parole ascoltate i vostri pensieri, siate soli, siate beati nella umida e gelida notte, non abbiate paura del buio, sollevati contro la paura e correte, viaggiate, dormite sotto le stelle. E quando regalate qualcosa, che sia un regalo no una promessa… che razza di gente! Quando si regala qualcosa dietro ci deve essere la soluzione, la fine, nessun ritorno, nessuna aspettativa.
C: tu stai delirando, ma che ti sei bevuto oggi, etere!? Avanti smettila, che spettacolo immondo! La gente certo non si aspetta questo da te, tu sei Charles Bukowski lo capisci o no? Sei un poeta, uno scrittore, non puoi mischiarti con la vita come un qualsiasi poveraccio…
B: Mischiarmi con la vita? Ma come cazzo parli e poi chi sei tu? Chi ti conosce, come ti permetti di dirmi come devo vivere io, chi sei tu per dire loro come devo vivere io? Trascina quel tuo culo fuori di qua, lasciami parlare come voglio, la libertà della mia lingua è una cosa che mi sono conquistato a fatica, questa faccia butterata non mette più paura, ci sono donne che mi trovano persino attraente (ride). Vattene e lasciami da solo, non riesco a creare uno show con un guardiano vicino.
Lo stereo è un po’ vecchiotto, ma è quello che ti ha accompagnato durante gli anni
adolescenziali. Non vedi l’ora di vederlo al lavoro. Il vinile esce facilmente dalla sua
bustina, mentre tu lo afferri col pollice al centro, cercando di toccarne solo i bordi per
non rovinare quella che consideri la tua reliquia. Appoggi delicatamente il disco sul
piatto, prima di dargli il via per i suoi trentatré giri. Il tempo che serve per farlo
partire e poggiare la puntina di diamante sui solchi. Ed è qui che scatta la magia: la
magia di quelli che ti hanno capito più di tutti. Quella magia che chiami musica. E
che ti fa viaggiare nei ricordi.
Mi sento stanca,
svuotata,
come un fiore che sta appassendo lentamente,
ma inesorabilmente.
Sto perdendo i miei colori,
la luminosità,
la brillantezza,
quella morbida sensazione al tocco.
Mi sto seccando,
sto morendo,
nonostante il Sole cerchi di illuminarmi e l’acqua cerchi di bagnarmi.
Sembra tutto inutile.
Solo una questione di tempo.
So bene, però, che le mie radici sono forti e ben piantate nel terreno della vita
e ancora molti occhi hanno bisogno di guardarmi fiorire,
di sentire il mio profumo.
Allora, cerco di succhiare questa linfa con tutte le poche forze rimaste e,
con pazienza e costanza,
LUI di Mariagrazia De Trane
Arriva l’estate
nuove avventure, nuove risate,
lacrime
e favole dimenticate.
Volate.
C’è chi è rimasto
e chi se ne è andato,
chi resterà
e chi se ne andrà.
Ma quel secolo quando arriverà?
Quando verrà la notte,
calerà il cielo
sentirò la morte
ricoperta dal gelo,
il gelo che emana il sudore,
freddo come il sangue
amaro come il cuore,
il cuore pazzo,
innamorato,
di lui e del suo sole.
Che era è questa?
Mi sono già appartenuta?
Mi sono già innamorata?
Non posso lasciarlo andare,
lui,
che mi ha sempre amata.
tiro di nuovo su il capo, ormai chino.
La bellezza del mio animo non può spegnersi e scomparire.
Non deve.
Vita,
Sono tua.
Mi chiamooo … San, ma non è il mio vero nome. Credo sia perché Santiago il nostro boss e protettore ci chiama così a tutti con l’inizio del suo nome, una specie di marchio che ci protegge dalle altre bande.
Sto morendo, non chiedetemi perché, … non saprei rispondervi, è tutto troppo assurdo!
Sto morendo forse perché non sono un clown, come quelli che scendono nei nostri rifugi sotterranei -voi le chiamate fogne- per alleviare le sofferenze di vite senza occhi, le nostre.
Non voglio morire subito!
Sto aspettando Pepe, il mio clown preferito, forse … lui saprà darmi una spiegazione.
Mi sta venendo sonno, ma non voglio sognare. Per sognare ci vuole un buon odore e qualcuno che ti carezzi la fronte, se no è un incubo.
Però voglio raccontare, raccontare è vivere e vista la mia situazione non c’è cosa migliore che farlo.
Credo di avere sette anni, mai festeggiati, come mai ho fatto un Natale o una vacanza l’estate.
Convivo col nero dell’asfalto dei marciapiedi, delle fogne e neri sono i miei occhi ed i miei capelli, forse sono un predestinato ma come tale, non accetto volentieri la mia sorte. Vivo correndo e correndo inseguo farfalle di vita che una volta cadute nel mio retino, volano con la loro bellezza nel mio cuore, illuminando la notte. Non le metto in un vasetto di vetro per tenermele, ma, come gli atti del destino devono venire e poi andare … libere ed io sono contento lo stesso, almeno le ho conosciute e mi sono state accanto per un po’.
Io mi accontento di vederla in un battito di ciglia di felicità, visto che per me viverla sarebbe il tempo di una rosa.
Per questo amo andare al parco, dopo essermi lavato alla fontanella e messo quei due stracci decenti che ho. Non vado per giocare con gli altri bambini, ma per sentirmi almeno per un attimo figlio di qualcuno, per illudermi di esistere come bambino. È un gioco e ve ne spiego il funzionamento. Da lontano osservo le panchine su cui si siede la gente. Dopo aver scartato quelle con coppiette e vecchi soli, ne individuo alcune sulle quali siedono delle mamme che guardano attente i loro bambini giocare, scelgo quelle con le mamme più giovani e carine e mi avvicino fingendo di cercare qualcuno, … come se mi fossi perso. Nove su dieci funziona, loro mi vedono e domandano “Ti sei perso? Dove sono i tuoi genitori?”.
