Non tornerò da eroe
Ma d’abitudine
Sulle ali del senso,
Il settimo.
Ho visto incudini
legate
Alle caviglie degli
Eserciti per cui
Conta solo il numero.
Le mani sporche di sangue
Sono quelle che più
Cercano mani da stringere e
Aspettano una pioggia
Che lavi.
Ma arriverà
La tempesta imperfetta
Quella per noi,
Si leveranno i fronti e
Al sole volgeranno i sogni
Oltre le fronti:
Un’artiglieria di
Vocaboli a
Ridire il mondo,
Esercito,
Schiere d’antieroi
Delle cause perse ma
Dalle conseguenze utili:
Non potrai non
Aggiungerti a
Noi e alle nostre anime
In fuga,
Le nostre anime
Dai numeri bassi.
A piedi scalzi, a mani nude
scrivi.
Scrivi per non tacere il disaccordo, per far rumore nella tempesta,
scrivi forte che non appartieni a ciò che resta,
né per convenzione, né per stanchezza, né per inutile protesta.
Scrivi,
scrivi che non t’importa di quel confine, è un’illusione di chi lo pone, e con la penna in mano gli tieni testa, e non è Tutto… ma è ciò che resta.
Se posso scrivo per dire basta, ai vuoti da riempire in testa di chi sfoggia le Verità in tasca.
M’insegnino i dottori, a cucirmi le ferite, e i filosofi a usare le solite frasi e le parole ardite…
e poi il mio corpo infine, in mezzo al foglio e scrivo ancora, se è muto il coraggio di dire Voglio!
E allora voglio, prendermi carico del mio pensare per dire che ancora so nuotare,
in quelli che a volte chiamano abissi.
Scrivi e accertati di aver scritto, quello che davvero pensi di dar per certo.
E leggo sentenze con belle parole, pesanti tanto quanto la fame e il dolore, e sono gli abiti che ti porti appresso, e non vedi nemmeno te stesso.
…e s’alza il vento,
e scopre i volti, e allora scrivo dei nostri silenzi che avvolgono i dubbi che mi accompagnano, che graffiano i vetri di questa finestra.
Molte donne indossano un burka,
a volte si vede, è evidente
è scuro, è nero non lascia
intravedere niente.
Noi ci scandalizziamo,
ci ribelliamo,
accusatori, giudici
emissari di Dio.
Molte altre donne
indossano un burka
trasparente, invisibile,
soffocante.
Noi non lo vediamo,
non lo tocchiamo,
non ci scandalizziamo.
Quante gioie negate,
quanti traguardi impediti.
Non sai fare, non sai dire
e ogni disprezzo ci copre,
ci annebbia.
Ma la difesa dall’odio è dovuta,
spalanca le braccia,
niente ti coprirà
non farti mettere abiti
che ti deformano,
chi sei dillo tu!
Dillo piano, dillo forte
varia può essere l’intensità,
ma chiara deve essere la tonalità.
Non so spiegare
questo bene grande per te
così vivo
così amaro talvolta.
È nato
raccontandomi il mare,
è cresciuto
raccontandoci la vita,
è diventato poesia
lontani assieme,
nel tempo.
Ogni tua parola
scioglie emozioni,
da sempre
appartiene a te
la mia anima,
non lasciare che si perda.
Questo bene
è un sogno struggente,
guardare
il mare e le stelle
nei tuoi occhi,
abbracciarti
almeno una volta
o forse mai,
forse sempre
o forse… chissà.
Non cambierai mai il mondo
se non sarai convinto
di poterlo cambiare
non inventerai mai un giardino
se non curerai con attenzione
ogni piccolo filo d’erba
e non amerai, non amerai mai bene
veramente
se non ti porrai come obiettivo principale
quello di veder nascere
mille fiori, sorrisi luminosi
sul volto della persona
che ami.
Piccola,
come un essere del creato,
occhi vitrei di pesci morti
in barattoli di comune destino,
il dio non ne sente la compassione
capace solo di compiacersi
della potenza che (da lui) sovrasta.
Di inerme vita
di vago senso all’esistenza
alterno confusa
il prevalere doppio e contrario
di chi sovrasta e non avverte
a chi investito e annientato
del mondo tutto
ne possiede il sentire.
È tutto qui ciò che serve
In questo mondo
Ci sono venti che
Soffiano da Nord
E venti che soffiano da
Sud
Un Est ed un Ovest
Dove il sole
Nasce e muore
Fra cieli tinti
Di luce e di splendore
Terra e acqua
Amanti inseparabili
Fuoco e aria
Scintille di passione
È tutto qui!
Sembra che non
Manchi niente
Perfino rosse ciliegie
Che alleggeriscono
I rami
E cani che ci leccano
Le ferite
Poi mani da stringere
Bocche per baciare
E numeri per contare
Lo potremmo fare
All’infinito
E ancora
Carezze per i nostri figli
E bambini con cui
Giocare
C’è anche il non
Coraggio
Di invertire certe rotte
E ci sono i passi falsi
Che ci fanno cadere
Negli abissi
Dove il sole non arriva
Ma anche lì
Nel regno delle tenebre
Possiamo prestare attenzione
Porgere l’orecchio
E ascoltare
Anche lì
Potremmo sentire
Un dolce canto
Eh sì
C’è tanto in questo mondo
E lo penso
Con le braccia conserte
Mentre cala la sera
Eppure so di tramonti
Blu lontani.
Che non vedrò mai.
Siamo stati tanto vicini da riuscire a fermare il tempo, ma non per sempre.
Sicuramente una frazione di eternità conserva il peso di quell’attimo in cui, separati solo dal soffio di un vento con in braccio il ronzio delle api davvero riuscimmo ad essere una cosa sola.
Restando liberi di essere.
Siamo stati vicini come cielo e mare per chi osserva l’orizzonte o come lembi di una ferita che nel volersi riavvicinare sanno di essere già cicatrice.
Quel mondo era completo, non serviva altro per renderlo perfetto.
Ma non ti bastava.
Lentamente, poco per volta, con delicatezza, sei riuscito a togliermi dalla terra per chiudere dentro un vaso le mie radici.
Mi volevi per te.
Ed io, lentamente, ho iniziato a morire.
Sto distruggendo un muro
o sto creando spazio?
Sto abbattendo barriere?
Sto spostando spazio?
Sto passando il tempo?
Sto passando, con il tempo
che avevo creato io stesso?
La risposta giusta è
cambiare domanda
Le macerie prenderanno altra forma?
Avranno un’altra vita, altrove?
Voglio dire che è un passaggio?
Che niente si elimina per sempre?
Queste macerie andranno a finire
da qualche parte
quindi in realtà
sto creando spazio qui
per crearne altrove
quindi in realtà
sto creando spazio qui
per occuparne altrove
Sbriciolando lo spazio edifico
le forme del tempo
Non sei riuscito ad abbattermi,
non mi hai abbattuto… lo sai…
Leggere isolando il trauma
non per trame
interrogare la discontinuità
non l’esito
trovare punti di rottura
non linee di cammino
è l’orecchio che
non prestiamo mai
altrimenti la storia
non prenderebbe alla sprovvista
e la cosa da leggere
non si troverebbe
Ma se un giorno
improvvisamente
dovessi allontanarmi
da te
ti lascerei ogni mio sorriso
perché tu l’hai fatto nascere
e lascerei con te tutta la gioia
che esiste solo grazie a te
e ogni nostro discorso
che parte dalle bollette
e va a finire ai moti dell’universo
E come portar via
tutti questi ricordi
tutti i respiri
tutti i nostri giorni
La morale della favola è
che lascerei me stessa
molto più di quanto
potrei lasciare te
Se sono fatta per volare
perché sono incatenata a terra?
Le mie ali intorpidite
bramano l’infinità dei cieli
quando allegri accompagnano
un sogno migrante.
Ci ho provato
e riprovato
mi sono schiantata a terra
portando lividi ovunque.
Se nessuno ti insegna a volare
avrai sempre belle penne bianche
mai sporcate
accartocciate
sistemate per bene in una scatola
nella vetrina delle possibilità.
E può capitare
che i tuoi cinguettii dentro la scatola
li senta il primo passante distratto
e non amante
delle creature che volano.
Apri la scatola!
