LibEreria

Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Sala Lettura – Maggio 2018

io e te sappiamo

dei corridoi in cui Teseo e Arianna dipanano il loro filo,

come lo trovano, come lo seguono,

come lo spezzano, come lo riannodano,

alcuni motivi per cui lo pérdono, uno o più,

uno, per cui lo tengono.

Conosciamo molto.

Non sappiamo tutto.

 

io e te sentiamo,

l’aria, la nota che emette uno strappo d’anima,

del diapason la vibrazione che la ricuce,

l’arrivo di un pensiero, Scirocco o Maestrale,

le polarità dei magneti, il rumore degli occhi,

la carezza di una preghiera, l’odore di un sorriso,

forse quello di un angelo, chissà.

Sentiamo molto.

Non sentiamo tutto.

 

io e te non guardiamo, vediamo

le pareti cieche del labirinto, se c’è porta o

minuscola finestra senza conoscer la misura,

le bussole altrui con l’ago storto.

Dei prezzi le diapositive a luce spenta,

e senza proiettore.

Guardiamo tutto.

Non vediamo molto.

 

Simile, forse, a quella algebrica è la matematica dell’anima:

+ x + = + il risultato è debole di fronte alla vita.

+ x – = – il risultato è certo.

– x – = + il risultato può essere autentico, forte perchè completo

non se per fuggire da,

ma se per correre incontro a.

Chissà.

 

Ancora molti debiti da saldare,

tra cui, per me,

anche uno di fede.

Siamo stati tanto vicini da riuscire a fermare il tempo, ma non per sempre.

Sicuramente una frazione di eternità conserva il peso di quell’attimo in cui, separati solo dal soffio di un vento con in braccio il ronzio delle api e il canto delle gazze, davvero riuscimmo ad essere una cosa sola.

Restando liberi di essere.

Siamo stati vicini come cielo e mare per chi osserva l’orizzonte o come lembi di una ferita che nel volersi riavvicinare sanno di essere già cicatrice.

Quel mondo era completo, non serviva altro per renderlo perfetto.

Ma non ti bastava.

Lentamente, poco per volta, con delicatezza, sei riuscito a togliermi dalla terra per chiudere dentro un vaso le mie radici.

Mi volevi per te.

Ed io, lentamente, ho iniziato a morire.

Sono sabbia instabile

che si lascia portare via dal vento.

 

Basta una brezza del nord

e io mi dissolvo.

 

Arriva una folata

e mi porta via

 

mi porta fino a te.

 

Mi fa insinuare nei tuoi occhi

e tra le tue labbra

 

voglio baciarti

ma mi scacci con le dita

 

mi strofini via

fino a che non rimane nemmeno un granello di me

sulla tua pelle.

 

E poi il libeccio mi allontana nuovamente

dai tuoi capelli

e dalle tue mani.

 

Mi lava via

e mi affoga negli oceani del sud

 

ma io muoio

con la tua dolcezza sulle labbra.

…e poi rivogliamo tutto indietro e pure con gli interessi, quel Tutto che abbiamo trascurato e svalutato. Abbiamo venduto le parole più belle in cambio di lucida crudeltà e sarcasmo.

E mentre anche un volo di rondini passa per ricordarci di guardare oltre, rimaniamo incapaci e immobili a lamentarci degli eventi di cui siamo anche responsabili.

La Vita non ammette ritardi e bruciamo gli attimi a rincorrerla, consumiamo le suole di inutili scarpe, o ci sali, in questa vita, o ti siedi sulla panchina sotto all’orologio, immaginando le lancette che ruotano al contrario, se ti va bene ogni tanto s’incastrano le ore ed i minuti.

Desideriamo di desiderare, sogniamo di sognare, seduti credendo di esserci alzati.

Tutto scorre

in una successione illimitata di istanti

il fluire delle cose

la percezione del tempo

le prospettive che cambiano

tutto scorre e passa

a volte in un caotico frastuono

a volte in una immutabile quiete

alterno questi due stati

e lascio scorrere

ma è nell’immutabilità

che mi ancoro

affondo i piedi nella terra

in cerca di radici

apro le narici

incontro le anime passate

ma ancora presenti

la striscia d’argento all’orizzonte

le robinie che sventolano

il cuculo che canta

da sempre, come sempre.

Ecco… ci siamo… mi sa che ormai è proprio ora… sento l’odore dell’inchiostro avvicinarsi…

Ma tutto sommato non mi dispiace… ormai era tanto che aspettavo…

Chissà come diventerò? Semplice? Ordinata? Confusa? Colorata? Stropicciata?

Beh… lei normalmente ha cura di quelle come me… dico di noi pagine pulite… al massimo con le righe…

Quest’ultimo periodo però anche lei mi sembra più pensierosa, a momenti addirittura triste…

So già che quando non saprà come continuare, mi farà il solletico con i suoi ghirigori ed i suoi cuoricini… sì perché nonostante tutto e tutti lei all’Amore ci crede sempre, non ci rinuncia mai…

E sono quasi certa che di questo parlerà… perché non si stanca mai di sognare…

Credo rimarrò insieme alle mie sorelle ben riposta tra le calde e avvolgenti pagine di un buon libro, probabilmente un libro di poesie… ah io adoro le poesie! Mi piacerebbe un giorno diventarne una… sempre d’amore si intende! Che magari faccia innamorare due anime belle e gentili.

Delirio guidami

dietro le sagome

di umani fragili

lasciami scorgere

foglie che gridano,

radio che sanguina

di suono cosmico,

fiori di musica

che in aria volano

e infine esplodono

in vento sonico

che si fa brivido

tra le mie costole.

 

Delirio portami

dentro una nuvola

piena d’idrogeno

mischiato a ossigeno

che si fa liquida

quindi precipita

lavando i sintomi

delle catastrofi

via da ogni anima

che torni limpida

e senza forfora

ma solo satura

di fritti mistici.

 

Delirio toglimi

tutte le maschere

che il mondo ipocrita

m’obbliga a mettere,

rendimi libero

più d’una rondine,

più d’un idraulico:

un ippopotamo

con ali d’anatra

che sguazza candido

nelle pozzanghere

d’un canto onirico.

Hai alzato un muro

messo il recinto

persino il filo spinato

e per terra solo detriti

ciarpame

bottiglie e mozziconi di sigarette

fumate da chissà chi, chissà quando

la zona adesso è disabitata

neanche un cartello “attenti al cane”

so che sei fiera

di questo teatro dell’assenza

ma cosa te ne fai

di tutta questa proprietà privata?

Non è edificabile né godibile.

Nessun cuore vorrebbe mai abitarci.

Eppure

se solo buttassimo giù quel muro

rispunterebbero i visitatori

e anch’io, forse

tornerei a guardarti

come si guarda

un’opera ben riuscita.

Davvero vuoi sapere perché sono qui a quest’ora?

Perché nonostante tutto forse un po’ ci spero ancora

Se ti dico che passavo di qua tu ci crederesti?

Se ti chiedo un abbraccio poi in fondo me lo daresti?

Se ti parlo dei miei peggiori difetti mi ascolteresti?

Se resto solo in silenzio invece mi capiresti?

Se ho ancora paura ti sorprenderesti?

E quando dopo vado via tu dimmi, cosa faresti?

Provo a ricucirmi i tagli da sola con le mie mani

E mi scoraggio nel vedere i miei sforzi diventar vani

Tu cammina sempre avanti, ti prego non ti girare

Una ferita che non guardi non smette di sanguinare

Ma in fondo sai il coraggio presuppone la paura

Nel bel mezzo di una notte buia, pure la più scura

Puoi accendere una luce, un barlume di speranza

Io ti tendo la mia mano

poi aprila tu

la danza.

Speranze fragili

chiuse nel buio di una stiva

Strappate alla disperazione

Sopravvissute al dolore

Alimentate da pianto e paura

Speranze

Lasciate senza eco

In un mare infinito

Speranze che, ora, vivono altrove

Non di ciò che guardi e che dici mi nutro.

Non del fatto che guardi e che dici.

Gioisco per l’esistenza di quell’occhio,

di quella lingua tutta interiore,

tutta perduta, tutta rifondata,

di quell’indicibile che si dice.

Di quella voce che dice di sé:

sono indicibile.

Confermandosi,

contraddicendo.

Gioisco se esiste il guardabile e il dicibile,

se sa manifestarsi

e sa sparire.

Gioisco e spariscono i fatti.

Dico che gioisco,

e sono illeggibile.

Il mondo che non si compie mai

e non ha niente da assolvere,

quest’idea di mondo

si consola in chi è consolato,

è salva in chi assiste e attende,

in chi per sempre è qui e adesso.

Sono te, poeta, sto

a distanza.

Abito la profondissima superficie dello stile,

la lama del pugnale.

Mi ritrovavo a pensar

le emozioni

e al modo in cui tutto

risuona normale,

le nostre etichette,

poesie, le canzoni

e a rider di quanto

sia assurdo e banale,

in questa gara all’artificiale

rara istantanea un po’ superficiale

che è miscellanea

di ciò che è anormale,

in questa corsa

all’ostentazione

che un po’ è ripudio,

un po’ morsa e attrazione;

ci sguazzano dentro

anche gli intellettuali

facendo filosofi

antisociali,

sparando a zero

sui gruppi sociali

di cui si ritrovano

poi alimentari.

E noi che ci siamo

da tempo già dentro

sbuffiamo adagiandoci

un po’ più al centro

dimenticandoci

le coperte

che il destino ci cuce

addosso, solerte,

ché non siamo niente

di nuovo e in-comune

e nuotiamo nel fango

infetto autoimmune

protagonisti

anche noi

di ‘sto tango

ma consapevoli

della realtà,

popolazione laconica

inerte,

incolpevoli incolumi

in mediocrità.

Scorre del sangue

Nelle tue vene.

Il mio

Il suo.

Il nostro prepotente

Destino

Incrinato.

Diversamente simili

Le nostre rughe

Sulla tua mano.

Non dar retta

alle mie parole

Io sono altro

Sono altro

Non dar retta

alle mie parole

c’è un mondo diverso

dentro di me

 

Esplora

le mie profondità

le parole non aiutano

a mostrarle

 

Ascolta l’urlo di gioia

che nasce in me

mentre ti guardo

guardarmi

 

cercare l’orizzonte

e ogni giorno seguirne

la linea netta

con i tuoi occhi

di abisso

 

che si fanno vita nuova

per me

leggimi piano

come una poesia

 

Scoprirai che non sono

quella che vedi

che sono più te

di quanto avresti mai

potuto immaginare

 

Respira ora

che tutto ciò che si muove

intorno al mio corpo

possa diventare tuo

 

Solo così

se vuoi

davvero

mi conoscerai

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