io e te sappiamo
dei corridoi in cui Teseo e Arianna dipanano il loro filo,
come lo trovano, come lo seguono,
come lo spezzano, come lo riannodano,
alcuni motivi per cui lo pérdono, uno o più,
uno, per cui lo tengono.
Conosciamo molto.
Non sappiamo tutto.
io e te sentiamo,
l’aria, la nota che emette uno strappo d’anima,
del diapason la vibrazione che la ricuce,
l’arrivo di un pensiero, Scirocco o Maestrale,
le polarità dei magneti, il rumore degli occhi,
la carezza di una preghiera, l’odore di un sorriso,
forse quello di un angelo, chissà.
Sentiamo molto.
Non sentiamo tutto.
io e te non guardiamo, vediamo
le pareti cieche del labirinto, se c’è porta o
minuscola finestra senza conoscer la misura,
le bussole altrui con l’ago storto.
Dei prezzi le diapositive a luce spenta,
e senza proiettore.
Guardiamo tutto.
Non vediamo molto.
Simile, forse, a quella algebrica è la matematica dell’anima:
+ x + = + il risultato è debole di fronte alla vita.
+ x – = – il risultato è certo.
– x – = + il risultato può essere autentico, forte perchè completo
non se per fuggire da,
ma se per correre incontro a.
Chissà.
Ancora molti debiti da saldare,
tra cui, per me,
anche uno di fede.
Siamo stati tanto vicini da riuscire a fermare il tempo, ma non per sempre.
Sicuramente una frazione di eternità conserva il peso di quell’attimo in cui, separati solo dal soffio di un vento con in braccio il ronzio delle api e il canto delle gazze, davvero riuscimmo ad essere una cosa sola.
Restando liberi di essere.
Siamo stati vicini come cielo e mare per chi osserva l’orizzonte o come lembi di una ferita che nel volersi riavvicinare sanno di essere già cicatrice.
Quel mondo era completo, non serviva altro per renderlo perfetto.
Ma non ti bastava.
Lentamente, poco per volta, con delicatezza, sei riuscito a togliermi dalla terra per chiudere dentro un vaso le mie radici.
Mi volevi per te.
Ed io, lentamente, ho iniziato a morire.
Sono sabbia instabile
che si lascia portare via dal vento.
Basta una brezza del nord
e io mi dissolvo.
Arriva una folata
e mi porta via
mi porta fino a te.
Mi fa insinuare nei tuoi occhi
e tra le tue labbra
voglio baciarti
ma mi scacci con le dita
mi strofini via
fino a che non rimane nemmeno un granello di me
sulla tua pelle.
E poi il libeccio mi allontana nuovamente
dai tuoi capelli
e dalle tue mani.
Mi lava via
e mi affoga negli oceani del sud
ma io muoio
con la tua dolcezza sulle labbra.
…e poi rivogliamo tutto indietro e pure con gli interessi, quel Tutto che abbiamo trascurato e svalutato. Abbiamo venduto le parole più belle in cambio di lucida crudeltà e sarcasmo.
E mentre anche un volo di rondini passa per ricordarci di guardare oltre, rimaniamo incapaci e immobili a lamentarci degli eventi di cui siamo anche responsabili.
La Vita non ammette ritardi e bruciamo gli attimi a rincorrerla, consumiamo le suole di inutili scarpe, o ci sali, in questa vita, o ti siedi sulla panchina sotto all’orologio, immaginando le lancette che ruotano al contrario, se ti va bene ogni tanto s’incastrano le ore ed i minuti.
Desideriamo di desiderare, sogniamo di sognare, seduti credendo di esserci alzati.
Tutto scorre
in una successione illimitata di istanti
il fluire delle cose
la percezione del tempo
le prospettive che cambiano
tutto scorre e passa
a volte in un caotico frastuono
a volte in una immutabile quiete
alterno questi due stati
e lascio scorrere
ma è nell’immutabilità
che mi ancoro
affondo i piedi nella terra
in cerca di radici
apro le narici
incontro le anime passate
ma ancora presenti
la striscia d’argento all’orizzonte
le robinie che sventolano
il cuculo che canta
da sempre, come sempre.
Ecco… ci siamo… mi sa che ormai è proprio ora… sento l’odore dell’inchiostro avvicinarsi…
Ma tutto sommato non mi dispiace… ormai era tanto che aspettavo…
Chissà come diventerò? Semplice? Ordinata? Confusa? Colorata? Stropicciata?
Beh… lei normalmente ha cura di quelle come me… dico di noi pagine pulite… al massimo con le righe…
Quest’ultimo periodo però anche lei mi sembra più pensierosa, a momenti addirittura triste…
So già che quando non saprà come continuare, mi farà il solletico con i suoi ghirigori ed i suoi cuoricini… sì perché nonostante tutto e tutti lei all’Amore ci crede sempre, non ci rinuncia mai…
E sono quasi certa che di questo parlerà… perché non si stanca mai di sognare…
Credo rimarrò insieme alle mie sorelle ben riposta tra le calde e avvolgenti pagine di un buon libro, probabilmente un libro di poesie… ah io adoro le poesie! Mi piacerebbe un giorno diventarne una… sempre d’amore si intende! Che magari faccia innamorare due anime belle e gentili.
Delirio guidami
dietro le sagome
di umani fragili
lasciami scorgere
foglie che gridano,
radio che sanguina
di suono cosmico,
fiori di musica
che in aria volano
e infine esplodono
in vento sonico
che si fa brivido
tra le mie costole.
Delirio portami
dentro una nuvola
piena d’idrogeno
mischiato a ossigeno
che si fa liquida
quindi precipita
lavando i sintomi
delle catastrofi
via da ogni anima
che torni limpida
e senza forfora
ma solo satura
di fritti mistici.
Delirio toglimi
tutte le maschere
che il mondo ipocrita
m’obbliga a mettere,
rendimi libero
più d’una rondine,
più d’un idraulico:
un ippopotamo
con ali d’anatra
che sguazza candido
nelle pozzanghere
d’un canto onirico.
Hai alzato un muro
messo il recinto
persino il filo spinato
e per terra solo detriti
ciarpame
bottiglie e mozziconi di sigarette
fumate da chissà chi, chissà quando
la zona adesso è disabitata
neanche un cartello “attenti al cane”
so che sei fiera
di questo teatro dell’assenza
ma cosa te ne fai
di tutta questa proprietà privata?
Non è edificabile né godibile.
Nessun cuore vorrebbe mai abitarci.
Eppure
se solo buttassimo giù quel muro
rispunterebbero i visitatori
e anch’io, forse
tornerei a guardarti
come si guarda
un’opera ben riuscita.
Davvero vuoi sapere perché sono qui a quest’ora?
Perché nonostante tutto forse un po’ ci spero ancora
Se ti dico che passavo di qua tu ci crederesti?
Se ti chiedo un abbraccio poi in fondo me lo daresti?
Se ti parlo dei miei peggiori difetti mi ascolteresti?
Se resto solo in silenzio invece mi capiresti?
Se ho ancora paura ti sorprenderesti?
E quando dopo vado via tu dimmi, cosa faresti?
Provo a ricucirmi i tagli da sola con le mie mani
E mi scoraggio nel vedere i miei sforzi diventar vani
Tu cammina sempre avanti, ti prego non ti girare
Una ferita che non guardi non smette di sanguinare
Ma in fondo sai il coraggio presuppone la paura
Nel bel mezzo di una notte buia, pure la più scura
Puoi accendere una luce, un barlume di speranza
Io ti tendo la mia mano
poi aprila tu
la danza.
Speranze fragili
chiuse nel buio di una stiva
Strappate alla disperazione
Sopravvissute al dolore
Alimentate da pianto e paura
Speranze
Lasciate senza eco
In un mare infinito
Speranze che, ora, vivono altrove
Non di ciò che guardi e che dici mi nutro.
Non del fatto che guardi e che dici.
Gioisco per l’esistenza di quell’occhio,
di quella lingua tutta interiore,
tutta perduta, tutta rifondata,
di quell’indicibile che si dice.
Di quella voce che dice di sé:
sono indicibile.
Confermandosi,
contraddicendo.
Gioisco se esiste il guardabile e il dicibile,
se sa manifestarsi
e sa sparire.
Gioisco e spariscono i fatti.
Dico che gioisco,
e sono illeggibile.
Il mondo che non si compie mai
e non ha niente da assolvere,
quest’idea di mondo
si consola in chi è consolato,
è salva in chi assiste e attende,
in chi per sempre è qui e adesso.
Sono te, poeta, sto
a distanza.
Abito la profondissima superficie dello stile,
la lama del pugnale.
Mi ritrovavo a pensar
le emozioni
e al modo in cui tutto
risuona normale,
le nostre etichette,
poesie, le canzoni
e a rider di quanto
sia assurdo e banale,
in questa gara all’artificiale
rara istantanea un po’ superficiale
che è miscellanea
di ciò che è anormale,
in questa corsa
all’ostentazione
che un po’ è ripudio,
un po’ morsa e attrazione;
ci sguazzano dentro
anche gli intellettuali
facendo filosofi
antisociali,
sparando a zero
sui gruppi sociali
di cui si ritrovano
poi alimentari.
E noi che ci siamo
da tempo già dentro
sbuffiamo adagiandoci
un po’ più al centro
dimenticandoci
le coperte
che il destino ci cuce
addosso, solerte,
ché non siamo niente
di nuovo e in-comune
e nuotiamo nel fango
infetto autoimmune
protagonisti
anche noi
di ‘sto tango
ma consapevoli
della realtà,
popolazione laconica
inerte,
incolpevoli incolumi
in mediocrità.
Scorre del sangue
Nelle tue vene.
Il mio
Il suo.
Il nostro prepotente
Destino
Incrinato.
Diversamente simili
Le nostre rughe
Sulla tua mano.
Non dar retta
alle mie parole
Io sono altro
Sono altro
Non dar retta
alle mie parole
c’è un mondo diverso
dentro di me
Esplora
le mie profondità
le parole non aiutano
a mostrarle
Ascolta l’urlo di gioia
che nasce in me
mentre ti guardo
guardarmi
cercare l’orizzonte
e ogni giorno seguirne
la linea netta
con i tuoi occhi
di abisso
che si fanno vita nuova
per me
leggimi piano
come una poesia
Scoprirai che non sono
quella che vedi
che sono più te
di quanto avresti mai
potuto immaginare
Respira ora
che tutto ciò che si muove
intorno al mio corpo
possa diventare tuo
Solo così
se vuoi
davvero
mi conoscerai
