LibEreria

Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Sala lettura – luglio 2022

Se muoio adesso

c’è una serie di cose non finite

c’è una serie di cose che non andavano finite

c’è una domanda su cosa sia davvero una cosa finita
ma è una domanda che ci sarebbe in ogni caso

c’è una serie di cose da me ben fatte
che sembrano quasi in mio nome
che sembrano quasi il mio nome

c’è il mio nome
che si riempie e si svuota proprio come prima

c’è una solita storia per occhi sempre altrui
che si ripete e non mi somiglia

c’è una serie di cose fatte che non sono state capite
da qualcuno che potrebbe perfino essere
io

c’è in me il bivio molesto e provvidenziale tra località
sono stato bene con me e località
sono stato male con me

ci sono luoghi come lingue o come profumi
che sembrano conservare qualcosa e così usiamo
il nome collettivo di memoria

c’è chi pensa di preferire il presente
e chi pensa che la memoria sia una cosa presente
al contrario di noi

c’è chi è lontano e vorrebbe essermi vicino
e non lo sa

c’è chi è lontano e avrebbe voluto costruire
motivi per essermi vicino
e non ce l’ha fatta o non ce l’ho fatta io

c’è chi è vicino e vorrebbe avermi detto
quella parola tre minuti fa

c’è chi è vicino e avrebbe voluto costruire
modi per esserlo davvero
e la lingua non c’era ancora e figuriamoci adesso

c’è chi non mi ha incontrato e adesso non può dire
se lo farà

c’è chi voleva sentire quella parola
e chissà se in mezzo alle tante l’ha trovata

c’è chi è rimasto solo ma c’è
anche chi lo era

c’è chi ha fatto male quella cosa senza attinenza
ma rimane la cosa che mi riguarda fatta male
o che mi riguarda male

c’è chi ha debiti e crediti che non riguardano me
ma pensa che invece mi riguardano

c’è chi pensa sollevato o dispiaciuto
che essendo morta non posso
dirgli queste cose

c’è una pagina scritta in un presente molto indicativo
ma che in realtà non c’è anzi meglio
non è stata scritta al momento giusto

c’è chi pensa che semino indizi
e che la morte non è smettere

c’è chi pensa che tutto questo è inutile
perché io non sono
il centro di me

se non muoio adesso invece lo sono
ma è inutile dirlo

Ma che bella sera stasera amore mio
con i tuoi baffi che tagliano il cielo
e i capelli che fuggono dalla nuca
e mi raccontano canzoni di traverso
quelle che la poesia sgattaiola qua e là

Ma che bella sera stasera
le tue ginocchia affilate
reggono un libro di geografia poetica
e firmano il vento con la tua voce

Non hai mai avuto la forma di un orso
sei sempre stato pi un lupo selvaggio
con l’eleganza di un felino
ed occhi che vengono da deserti lontani

Ma che bella sera stasera
Amore mio

Mentre tu mi racconti la vita
le rondini fanno il nido sulla nostra testa
e la stanchezza
pian piano
se ne va

È sbagliato
pretendere di più
sbracciare sempre alla ricerca
di quello che non puoi trovare.

È sbagliato andare fuori tempo,
fuori luogo,
fuori tutto.

È sbagliato
ma io non son capace
di percorrere strade consuete.

Preferisco quelle insidiose,
quelle tortuose,
quelle che non hanno
una fine.

Raccolgo le poche certezze che ho
Nella mia mano sinistra,
Tanto vale quanto la destra.
Con i capelli sempre scontenti
Il mio fedele sorriso,
Ormai stanco di concedersi
Facilmente.
Con la pelle ricettiva
E ricettacolo
Con la pancia in prima linea
Nelle mie battaglie.
Con gli occhi
A volte tirati a lucido
A volte tristemente opachi.
Con tutto il corpo
Che fa da intermediario,
Media,
Agisce per interposta persona.
È voce
Quando le parole
Arretrano.
È terreno di semina
Dei tanti dubbi
Come briciole sparse ai piccioni.
Scrigno di insicurezze
Binocolo puntato,
Che indaga con curiosità,
Sui tanti “sicuri di sé”.

Vorrei incontrare
Un prestigiatore pazzo… forse
Forse mi potrebbe rivelare
Il trucco del gioco.

La devo smettere

La devo smettere sì
Di rannicchiarmi in un angolo
Buio
Di contare le rughe
Come conto i ricordi
Di saltare
Di vetro in sasso
Con le braccia incrociate
Verso la solita
Canzoncina triste
Smettila ti dico!
Di sognare rumori
Cigolii e porte
Che sbattono
Sotto quel cipresso
Accomodati
E conta le stelle
Salta su quel ramo
Urla come fossi
L’ultima pazza
In questo mondo
Di ciechi
Tamburella sul ginocchio
Quel motivo
Che ti cambia colore
Ecco che
Arriva
Il rospo che
Ti accompagna
Ascolta il ronzio
Della sera
Arriva la luna
Fatti cullare
Prendi posto
L’ultimo vagone
Torna indietro
E ora è il primo
Buonanotte stella

Blu del sentiero

Castiglione di Sicilia era una piccola città collinare nei pressi dell’Etna, nel cuore della Valle attraversata dall’Alcantara, un fiume pronto a cullare con la sua bellezza gli animi tristi dei suoi visitatori. In quest’oasi, tra il Parco dell’Etna e quello fluviale dell’Alcantara, tra le pinete e le meraviglie verdi che lo circondavano, si trovava la casa dei Camarda.

Viola era un brulicare di festa quando tornava a casa: era solita lasciarsi irradiare dal sole e dal verde della sua amata Sicilia, permettere ai suoi sensi di farsi inebriare dai sapori e dai profumi della cucina locale, di lasciare che le onde del mare accarezzassero il suo corpo mentre lei si lasciava cullare come una sirena sul pelo dell’acqua, di entrare in contatto con la natura e di abbandonarsi all’estasi… ma quella non era purtroppo un’occasione di festa.

E per la prima volta in vita sua, si sentì profondamente a disagio in quella che, fino a pochi anni fa, era stata la casa in cui era cresciuta. E dove avrebbe appena conosciuto scomode verità.

Dune accarezzate dal vento
la pelle abbronzata
dove lascio il mio sguardo.

Mi dissolvo nel deserto sabbioso
dove vaga il mio respiro
senza posa su questo foglio
che ti vede disteso
e i miei pensieri senza scampo

M’obbligo a non raccontarti
vivendo in un lontano muto
e ciecamente ho voluto
credendo possibile,
tatuarmi sotto le palpebre
quando t’allontani dal mondo.

E tu
pur volendo dimenticare,
ricordi.

Più cerco di allontanarti,
più ti ritrovo accanto che mi respiri morte e oscurità.

Più cerco di trasformarti in ricordo sbiadito,
più mi riappari nitido e tangibile.

Più cerco di imprigionarti in un remoto passato,
più ti ripresenti prepotentemente al mio cospetto.

Non ho risposte e neanche più domande.

Mi arrendo a te,
una volta per tutte.

Hai vinto.

Prenditi ciò che ti spetta e poi,
ti prego, donami un po’ di tregua,
di silenzio.

Scegliere di farmi attraversare da te,
dolore senza fine,
forse mi aiuterà a fare pace con me stessa.

Mi merito un sorriso.

Nel segno del tempo
La pioggia lava pensieri
E acqua di sorgente
Interminabili letti
Prosciugati da sempre
Inonda
Non sfuggirò
Alle piogge di settembre
Sarò terra
Per lasciare crescere
Sentirò freddo
In un giorno d’estate
E abbraccerò segreti
Del passato
Fantasmi di me
Resta coraggio
Spara sui fiori
Uccidi melodie
Mi servirà un mantello
Per coprire
Quello che sono
E guardare le stelle
Con uno sguardo più buono

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