Cambia la pelle,
fai la muta
come un serpente
abbandoni la vecchia
identità.
Paura e dolore
amiche indistinte,
ma è solo finzione
non è vero dolore.
Il tempo passato
è bello che andato,
il tempo presente
è quello che serve
hic et nunc
è un motto latino.
Ci avvolge una corteccia,
scorza dura
o pelle molle.
Siamo dentro
un involucro
ci protegge,
ci difende e
ci separa.
Ma c’è un tempo
in cui è matura,
è matura la caduta,
quando il frutto interno
è gonfio,
rompe e spacca la corteccia
che diventa stretta
e dura
e impedisce il mutamento.
C’è un attimo opportuno,
un momento ormai maturo
in cui è lecito
e dovuto
tirare via la crosta,
come quando
da bambino
eri lieto ed orgoglioso
di veder far capolino
la pelle nuova e liscia
sotto il grumo raggrinzito.
Il momento già è arrivato,
il ciclo ormai è concluso,
non serve più la crosta,
se sotto la pelle è giusta.
La paura ci accompagna,
accompagna il cambiamento,
ma come un sughero multiforme
la variazione è una ricchezza,
e poi c’è il contadino
che sa quando tagliare,
apre a libro la corteccia
per poterla utilizzare.
Ad ogni metamorfosi
rompiamo la buccia esterna,
facendo attenzione
ai segnali non convenzionali,
come il gatto
che, burlone,
manda a Alice dei segnali
che la aiutano
talvolta
con dei modi
un poco strani.
Il serpente cambia pelle
e la lascia sul selciato,
l’albero rompe
la corteccia,
per crescere più forte.
E l’uomo?
L’uomo rompe la corazza
e non teme il mutamento
perché sa che la sua forza
è accettare il cambiamento.
Chi sei tu che celi a me le mie parole?
Alle tue, le mie non san rispondere.
Le parole, no.
Giusta ognuna, tutte errate,
vagano smarrite.
Galleggiano, transitano
tra i pensieri ed il soffitto della stanza,
imprendibili cirri
pur tante volte catturati per farne dono
autentico
alla
sorgente
che s’interrò.
E non me ne pentii.
Appresi, solo, a torto, a diffidarne:
delle mie.
Di tutto il sapere accumulato dal vivere
sul tema più niente conosco,
dubito del sentire, ora,
in questo fermo immagine del tempo
effimere, inutili nozioni:
buon segno.
Tendo i sensi ad ascoltar la vita
e attendo
laggiù
in quel campo
di persiana mistica memoria
chi sia tu, che celi a me le mie parole.
Soffrivano come dannati,
erano neri di sangue.
Soffrivamo anche noi,
con loro,
per loro,
per noi.
Perché loro erano noi
e noi eravamo loro.
Soffrire non fu abbastanza,
e per questo la ruota girava
e odio disegnava,
sulla strada.
Ma un giorno,
qualcuno poserà una pietra
davanti a quella ruota.
E sarà uno di noi,
uno di loro,
nonché uno di voi.
Un nodo alla gola,
un ginocchio addosso.
Non ricordo molto,
ma l’aria iniziava a venir meno.
Bloccato,
Immobile,
mille pensieri che si muovono
cristallizzando un attimo.
Riesco a malapena a sussurrare
in un assordante silenzio.
Un urlo ormai comune.
Si sono rotte vetrine,
accesi incendi,
alzati cori,
inginocchiate persone.
Quanto sangue ancora sull’asfalto?
L’aria si fa pesante, il respiro sempre più affannoso.
“Not in my name”.
Qualcuno racconti a quella bambina
sulle mie spalle
il perché della mia assenza momentanea.
Forse la mia storia verrà archiviata,
la rabbia
non sarà facile da spegnere.
“I can’t breath”
La macchina è in moto.
Dicono sia arrivato da Wuhan, poco più di un’influenza.
Gli scienziati parlano di spillover, il virus è passato dai pipistrelli all’uomo, il luogo dei primi contagi potrebbe essere un wet market.
Mercato umido.
Il cliente vuole vedere l’animale vivo, quando ha individuato la vittima discute sul prezzo, il venditore affila il coltello e sorride.
Banconote e monete, pance aperte e pance piene.
L’inferno sotto gli occhi del cielo, lame sulle giugulari, mani nude strappano la pelle mostrando gli ultimi spasmi di muscoli e tendini.
Un bastone crepa il cranio di un cane, ha la lingua fuori, le zampe si irrigidiscono, crolla, muove ancora la coda.
L’albero non sapeva che l’uomo l’avrebbe trasformato in un assassino.
Divento quel cane.
Terrore, dal petto esce qualcosa di caldo, provo a tirare giù il muso, cerco un odore, buio.
Ero un cane.
La terra beve il sangue degli innocenti, un giorno quel sangue tornerà per chiedere il conto.
Qui stiamo bene, siamo brave persone, non mangiamo cani, i gatti dormono nel nostro letto.
Un gruppo di bambini visita l’agriturismo, gli agnelli si lasciano accarezzare.
Appeso al collo portano un cartello ancora non visibile.
Agnello da latte intero, offerta, 21.14 €/kg.
Stai vivendo
il tuo film
da protagonista
indiscusso
al centro della scena
sotto i riflettori
sotto gli occhi attenti
di giudici spietati
al buio pesto
di orecchie cieche
dove nessuno accoglie
il grido
e mai
neppure per un istante
potrai essere
sostituito
non puoi affidare
il ruolo
a uno stuntman
nemmeno per le cadute
più pericolose
e quel fango
che ti avvolge le caviglie
rendendo ogni passo
pesante come un macigno
devi farlo tu
non puoi chiedere mai
nessuna sostituzione
nessuna pausa
Le luci della ribalta
ti chiamano nel film
di un regista
stralunato
e tu balli
a piedi nudi
al suono delicato
di un carillon
bironoguon
gigo oh tatonnevi eustaq galuni
li BNA bustrofedico neoclassico arguito
cosedno em merdovom larrepa titut isco
ni saqute galuni nau treof ponnometec acavvotei
hec nortoc li goolroi ledal espioa dramone
temet nu nosse id braleti e id turbocriptomania
e af vrolaera i runnieo
e af enbe lala ueltas
onn iah pitaco?
eclifa
ievd erfa magaranam
us nogi galosin aorpal zasen cheirlamis
ies rattone?
o it nobramse chetaimin?
cassu al ciarpaloca
Apro gli occhi in questo buio
ancora troppo denso
per distinguere la vita
Faccio di tutto per tenerli
ancora chiusi
e tornare nello scrigno protetto
dell’incoscienza
ma ogni tentativo è vano
E ha inizio così la traversata
nel mare dei pensieri più impetuosi
E lo sforzo per restare a galla
e non affogare negli abissi più profondi
Mi sbraccio alla ricerca di uno scoglio
a cui aggrapparmi
per sollevare il capo
e tornare a respirare
E come sempre quello scoglio sei tu
Tu apri porte
alimenti il pensiero
fai entrare luce
tutto è possibile
lo dice ogni scena vissuta
ogni dolore prezioso
ogni ferita
diventata arma per la sopravvivenza
andiamo insieme
verso la parte buona del giorno
e facciamogli vedere
il coraggio
andiamo insieme
più in alto
e facciamogli vedere
una possibile rinascita
andiamo insieme
oltre
nel mondo dei visionari
e facciamogli vedere
che si può fare.
Il cielo era tinto vermiglio
striature come pennellate frugali
a coprire nuvole di zucchero filato
– le avresti mangiate volentieri
Da lì si vede il mare
un monte che si tuffa
e campi aperti
e spazio per la tua libertà
Invece qui c’è un grande vuoto
un insopportabile rimbombo
il sentore di te
Ingannati da un tempo che non ci è più dato
ci voltiamo
Intatta sei ancora qui
Nomade sui territori
della tua malinconia
perfezione della strada
il mio capo riposa
lungo le curve più cieche
non abbiamo abbastanza
lacrime per capire cos’è
la sofferenza o
fuoco per capire cos’è
bruciare
tutto sta cambiando nome
lungo il viaggio buono
dei panorami che disegnano
la tua malinconia
e il mio cammino dentro te.
Mi accogli
tra le tue mani,
nell’aria che profuma mi tiglio
sbattuto dal vento
davanti alla finestra,
e mi rassereno.
Vorrei dirti:
ora lo so… so tutto…
Ma le parole svaniscono
nel tepore della sera.
Mi rannicchio accanto a te,
per un attimo,
seguendo un istinto ancestrale
come un bozzolo
trovo sicurezza
trovo il mio centro
mamma.
La verità.
Mi piacerebbe conoscere la verità
parlo di quella vera vera.
Non di quella che ognuno di noi è convinto sia unica e indiscutibile
non di quella che dipende da quale campana si ascolti
non di quella che poi vedi cambiare perché non è più comoda e inizia a stare stretta
vorrei possedere la verità con la V maiuscola.
La verità che mi permettesse finalmente di fare sempre le scelte giuste
la verità che mi assicurasse in cosa credere, senza continuare ad avere questo passo incerto
la verità sul passato, sul presente e sul futuro.
Ma poi, saprei usarla bene?
Sarei alla sua altezza?
Riuscirei a comprenderla fino in fondo?
Forse il segreto della nostra salvezza è proprio in questo,
nella nostra continua e instancabile ricerca che non finirà mai.
Se il tempo potesse guardarti
ti troverebbe che scendi le scale di corsa
tu e la tua borsa piena di cose
Io ti guarderei davanti alla mia porta di casa
mentre porto fuori pezzetti di me
Se il tempo potesse liberarti
ti vedrei sorridere mentre scendi tranquilla
con il tuo vestito a fiori
attaccato al tuo corpo di donna
mentre saluti la vita che arriva di fretta
Se il tempo potesse cambiarti
io non lo farei
Sei bella con gli occhi di un giorno di novembre
nel tuo essere contro le cose che hai
Se il tempo potesse amarti
lo farebbe con rabbia
E tu lo ameresti
di più
per farti vedere più forte
nella fragile donna che sei
Impressioni.
Afferrate, custodite… sedimentate.
Tra le dita una stilo argentata e se la lascio andare, frusciando lei va.
Ed io, che da sempre mi chiamo Incostanza,
di me del mio sentire
continuo a comporre mosaici fluttuanti.
Pensieri.
Sfuggenti, impalpabili… inafferrabili.
Si mescolano si rimescolano, saltellano e fan capriole
e poi parole, parole, parole… limpide, carezzevoli, tintinnanti…
sgorgano dalle mie mani
e volteggiando si posano sulla carta tremula
tessendo ragnatele di emozioni.
Fantasie.
Variopinte, effervescenti, trascinanti
si muovono, corrono e danzano sulla superficie frastagliata del mondo
fagocitano volti, situazioni, albe e tramonti,
lasciando nel mio ventre germogli di mondi.
Arretro ed avanzo, le cerco e le scanso ma poi prendo slancio e volando le inseguo
fiori variopinti esplodono dal mio sguardo.
Impressioni, pensieri, fantasie
ed io… scrivo.
