Ogni mattina al mio sorgere
smette di piovere
Poi ricordo che la pioggia è buona
Allora piango
E piove
Allora faccio una lunga passeggiata
chiudendomi fuori
Poi torno per raggiungere la meta
Poi torno per rischiare
Poi torno in me
è qui che si rischia e si ride
Qui
da me
si tace e si dice che si tace
Ogni sera al mio tacere
smette di piovere
La notte divoratrice e non madre dei sogni, strappava fotogrammi di vita lasciando sanguinare i ricordi rimasti aperti.
Solo l’orologio a muro rompeva il silenzio, mentre gli occhi cercavano tra le crepe del soffitto un’imperfezione nell’intonaco capace di ricordare un sorriso.
Pensò che le lancette non si incontrano mai.
Hanno velocità diverse l’una dall’altra, peso differente, una lunghezza che le caratterizza, e continuano il loro cammino sfiorando i numeri più o meno volte durante il giorno che insieme scandiscono.
Ognuna avanza, noncurante delle altre, anche se il loro movimento è solo parte di un meccanismo ben più grande.
Per questo le lancette non si incontrano mai.
Perché non sanno aspettarsi, non riescono a cambiare velocità, non sanno cosa significhi saper tornare indietro.
In fondo lo fanno anche le persone, quando avviluppate nelle proprie vite camminano, corrono, arrancano o si arrampicano, come se ogni loro movimento fosse slegato da quello di ogni altro essere vivente.
E come lancette, le persone non si incontrano mai.
“Pioggia” pensò aprendo le persiane, “continua a piovermi dentro, e nonostante tutto i rami di questo cuore continuano a lasciar cadere le foglie.”
Tra gli specchi eleganti
Si sussegue un’immagine
Distorta.
Due cuori battono
Nello stesso petto
Generano illusione e amore.
Un braccio regge un vestito
Nero di donna.
Una mano copre quattro occhi.
Contemporaneamente.
Sogni.
Quando le parole si plagiano in realtà,
illudono il senso,
ingannano il reale e
forgiano in tangibile
ciò che è fittizio, evanescente, onirico;
io vivo.
Trovo aria di cui respirare
senza accorgermi di perdere ancora sangue.
Posso impazzire?
Forse,
se mi considerassero pazza,
riuscirei finalmente a vivere
e non
a fare finta di vivere…
Stanotte le stelle
ondeggiano
fra le increspature
dell’acqua
il dondolio delle luci
è accompagnato
dal sottofondo sonoro
lieve e cadenzato
della risacca
ed è una carezza per l’anima
i piedi affondano
e lasciano impronte
destinate a sparire
lo sguardo si alza
e incontra la luna
e per un tempo
che non calcola il tempo
è lei e tutto questo
a lasciare un impronta
indelebile negli occhi.
Che ci posso fare.
Mi piacciono le ragazze eleganti.
Le ragazze dolci.
Quelle che hanno stile.
E un bel po’ di intelligenza.
Mi piacciono le ragazze Proustiane.
E come sono le ragazze Proustiane?
Be’ sono quelle ragazze
che non esauriscono mai
la capacità di interagire
con quel puzzle enorme di dubbi
e di domande.
Quelle che ti svelano
ogni giorno
nuovi significati.
Quelle che ti mostrano
ad ogni risveglio
nuove qualità.
Ma la ragazza di cui vorrei parlarvi
in questi versi
non è solo Proustiana.
Diciamolo:
è proprio uno schianto.
Occhi neri, capelli neri
sguardo intenso.
E fin qui va bene, direte voi.
Che sarà mai.
Il modo in cui si muove.
Il modo in cui parla,
il mondo in cui agisce.
Uno spettacolo.
E non si paga il biglietto,
come direbbe Bukowski.
La sua bocca, poi.
Dio, la sua bocca.
Mi immagino di tutto.
Ogni sapore esistente in natura.
Già lo so.
Che sa di fragola di panna di vaniglia
di amarena nocciola e pistacchio.
Solo a rigirarmi tra le labbra
il suo nome,
sono ingrassato di tre chili.
Però son tre chili
messi al posto giusto.
Tutti qui.
Tutti sul cuore.
Sarà il mondo che corre
o io che vado troppo lenta?
C’è chi non sopporta quello che è sentimentale
se esistesse, prenderebbe qualche anticoncezionale
ma dopo cinque dieci cento birre dal bancale
“Non è che non ti amo, è che ho paura di star male”
dite “l’amore vi fa perdere la testa”
a esser sincera credo più nella reazione opposta e inversa
che a cercare di levare sempre un po’ di luce al sole
dopo tutto è quel controllo che fa perdere l’amore.
Non credere a chi dice:
“non provare sentimenti
esistono soltanto doppie facce e tradimenti”.
Di rispettare i limiti e star dentro certe soglie
non lo sanno che anche il ghiaccio
se lo stringi poi si scioglie?
Non c’è cosa peggiore che si può sentire dentro
di quel peso vuoto che ti fa sentire spento.
Al tuo dolore non cercare un sedativo.
Se sanguini è solo
perché sei ancora vivo.
Le gambe lì,
allungate sul Tavolo
e guardo oltre mentre sorseggio del vino.
Non ho richieste in questa tarda serata
che mi si appoggia addosso
mentre si rincorrono ombre che attraversano i muri di questa stanza.
C’era un tempo che ogni cosa sapeva di nuovo,
che ogni raggio era il primo
e ad ogni luna contavi il suo quarto.
C’era un tempo che aspettavi domani
perché era ancora a venire
e un tempo per cose da fare.
Oggi è così che guardo scorrere i tempi andati:
seduta, allungando le gambe
tra un sorriso accennato
e gli occhi oscurati….
E brindo a quel Tavolo che accoglie i miei istanti.
Perché madre
Perché mettere al mondo
Le tue creature
Per poi mostrare loro
Il tuo pavido tremore
Ad ogni calar della sera
Perché padre
Perché esser padre
Senza aver mai saputo
Chi ti ha messo al mondo
Perché sorella
Perché dirti sorella
Perché fingere amore
Più di quello che hai per te
Se più di quello non hai
Perché famiglia
Che ferisce che spara che spaventa
Che fa sanguinare l’anima
E sentire il vuoto dell’aridità
Perché figlia
Perché abbracciarti ancora
Se non posso prima
Morire e rinascere
in te
A volte senti qualcosa tra le dita
un bisbiglio
il mancamento di una virgola
l’ansia di riprendere la parola il verso
e senti il nodo nell’anima che lega stringe e taglia
e aspetti si sciolga
e non sai né quando né come
e poi perché dovrebbe?
E poi sì, risale lungo le rive dell’inquietudine
del silenzio avvizzito
morto spento intirizzito
fino ad esultare
acclamante
e avviene
solamente avviene
e l’accogli come la neve la pioggia o il sole
come l’amore e
ti arrendi
scrivi
scrivi e basta
Le vostre paure tatuate sul corpo
Le vostre impressioni di settembre che ad agosto si abbronzano
E ad ottobre hanno freddo
Le vostre imprecazioni formali
Le ali e i maiali
Il pianto fiorito e il riso asciutto
I gabbiani di un tramonto pubblico
I gabbiani sulle discariche personali
Gli storni da guano che volteggiano come onde
Le onde del vostro destino
Il mare in declino
L’inchino regale e il principato virtuale
Il principio virale
L’amato e l’amarezza
L’amarena variegata
Le nuvole di panna e la pioggia acida
La vostra mancata ruga
E la vostra crepa fotografata con troppa luce
La vostra strategia
E la stregoneria
I pensatori e il carpe diem
Le capre i cavoli
Le merende e le orge
L’uovo oggi la gallina domani
Il progresso senza processo
Il processo alle intenzioni
Le intenzioni banali
I bannati e le dee bendate
Le impennate nel vuoto
E le cadute a picco
Il picco di interesse
Il tasso dell’ impresa
Il disinteresse e il se fosse
Il sé il se il ma e il però da lasciare da solo
Il solo tu e l’io solo
Il volo e il suolo
Il dolente mio incedere
L’incessante tuo dolore
Le falle le palle le corde strette
E le spalle larghe
Le maglie strette con la serpe in seno
Il seno procace e l’occhio sagace
Le intese le imprese
Il solito ignoto e la ricerca del noto
Le note nei canali
coi pesci che le guardano boccheggianti
Le bocche gonfie di parole rinnovabili
Non voglio più essere senza sorprese
Non voglio più quello che so
Desidero dire “non voglio”
Perché “voglio” è stancante
Voglio essere meno di zero
per non dover contare fino a cento
(Che io sia di questo posto, solo libero)
