Nelle trame del vento
lessi
di te amazzone
vibrare il colpo sul
fianco al destriero
con lo sperone delle
tue labbra.
Mutata la bestia in sentiero,
nella sua corsa
specchiai la mia faccia e
indovinai il mio passato:
fiamma dal mare,
confetto di brace esploso
nella mia tempia,
pietra angolare di una dimora
sepolta nella mia coscienza:
ad est vi combatteva un popolo
guerriero,
da ovest parlavano i profeti di pace,
una geometria di pulpiti
di cui tu danzando
immaginavi i confini
mentre io bramavo la fuga.
La mia regola non è parola,
la mia storia è lingua
di domani, i corpi già la
raccontano: io sono in ascolto.
Non senti i pensieri
miei tremuli, sussurranti?
Sei quattro spilli
di ghiaccio nella mia mano
che cerca tra i rami
gli ultimi scampoli di cielo.
Intanto bolle l’acqua sul fuoco
e io preparo la cannella con amore.
Sei ovunque, come quei fiori gialli
che nascono sulla strada.
Tra le mie crepe c’è ancora posto,
c’è ancora acqua per bere.
Dimmi che hai paura.
Che cercando frammenti e conchiglie, hai smosso con il tuo passo un solo granello di sabbia, e quel granello da solo è bastato per cambiare l’orizzonte.
Raccontami della paura che senti quando ti perdi nella leggerezza del falco, mentre segui con il dito i cerchi disegnati dal suo volo, mentre cerchi una risposta che protegge il nascere di una nuova domanda, meno importante e più vitale della prima.
Il giorno si è addormentato dopo aver superato le montagne, ma domani i tuoi occhi lo risveglieranno.
Dimmi che hai paura delle foglie cadute e del suono che creano volando, dei rami, che spogli quando sotto lo sterno conservi l’inverno.
Ho guardato il campanile questa notte.
Quello che vediamo dal balcone delle mura in cui abitiamo.
Nemmeno sforzandomi riuscivo a sentire la sua voce, ma le lancette che non riuscivo a sentire parlavano, questo lo so.
Dimmi che hai paura di perderti, ma vieni a cercarmi.
Io ho paura di perdermi, ma non di cercarti.
Quando per l’ennesima volta ti troverò, ti dirò che ho paura.
Che sorrido quando la sento bussare, poi apro la porta per offrirle una birra da ottantanove centesimi.
Ti dirò che di lei ho bisogno.
È stata un’ottima compagna di viaggio nel viaggio che aggiunge in me un anello per ogni anno che passa.
L’ho accolta, e la luna mi è testimone, così lei per me ha cambiato nome.
È diventata la mia forza.
Il mio prossimo passo.
E nel prossimo passo, ancora, e per sempre, ci sei tu, che per me hai cambiato nome.
Oggi ti chiami Amore.
Quella stella che vedi
e che già non esiste più
Luce
che però non palpita
per questo, sai, già morta
Pare germinare
il percorso fecondo
bianco e sudicio del cielo
quando è dell’universo
Continuo a sputare
insolenza
dentro il crepitio di me
I magi palleggiano con i giganti di san Siro
il sole bianco dietro al muro della nebbia
lo fissiamo senza filtri insonni volontari
son tredici anni che scrivo lo stesso racconto
batti le mani un applauso servirebbe numeri numeri numeri
siamo il mattatoio della spiritualità libri e record sovrapposti
il principe della città sommersa non mi ha lasciato nulla
Abrakadabra muri di burrasche l’Australia in fiamme
battibecchiamo in continuazione e ne usciamo tutti pesti
ci incontreremo fosse solo a sette chilometri da Gerusalemme
siamo spinti da desideri così forti che saranno accontentati.
Togli il san Cristoforo dallo specchietto. Mi serve per il viaggio.
Per sapere l’importanza di te novità
devi ricordarti il mondo di quando non c’eri
ora sei ingombrante e troppo grigio ti apparirà lo scenario
ma guarda bene con occhi che c’erano e ci saranno
tu eri possibile e sei stato trovato
Il primo giorno
cogliere la poesia
di un arcobaleno che giace
sul fondo di un lago
i colori volano
insieme alla folaga
mentre un fascio di luce
colpisce di traverso
le acque calme
entra negli occhi
un paesaggio glaciale
che abbraccia le foglie
ormai arrese alla vita
il primo giorno
calpestare la sabbia scura
che il vulcano ha steso
come un tappeto
per accoglierci
in questo eterno istante
il primo giorno
…Una staffetta di attimi questa Vita, un algoritmo che conduce passo a passo a una risoluzione… e mi intrometto, cade l’orologio in un cassetto di scritti incompleti, tanto il Tempo procede lo stesso.
Divido in sillabe i pensieri, e mi ci infilo dentro; arredo la mente di albe e tramonti, in algide notti a 30° in un “allegro ma non troppo”.
Liste di parole in ordine casuale, anzi, in disordine stabilito, tanto, si compongono ugualmente.
E me la rido quando smetto, tanto si piange comunque, qualche volta, spesso, a intervalli.
Mi dissocio e poi mi aggrappo; mi dissolvo e mi riunisco e ora è tutto e poi è niente.
Mi percorro con occhi attenti: cinque, dieci, venti dita mi appartengono.
E non parlo mai di Te.
Per errore di lancette ti ho baciato, e poi scordato in un cassetto di un orologio malandato… tanto è lo stesso, il tempo è già andato, ancora, un’altra volta, di un anno passato.
Ti regalo
La penombra fresca della sera
Gli ultimi attimi del rosso
Che vira al giallo
Ed un sole stanco che scende
Tra le colline
Ti regalo
Un sorriso
Apprezzalo con la stessa naturalezza
E stupore nel cuore
Lontano da equivocabili sguardi
Apprezza
Ogni gesto ed ogni momento
Di bellezza
Per la sua gratuità ed ovvietà
Per la sua importanza
Predisponiti
Alla gentilezza
Che come unica merce di scambio
Richiede solo altra gentilezza
Ti regalo
La pioggia che cade sugli alberi
E le gocce che scivolano
Giù dalle foglie
Come lacrime di gioia
Tu regalami un sorriso.
Non conoscevo neanche il suo nome…
Ma nel mio cuore e nei miei pensieri
non avevo bisogno di un nome
per trovarlo,
per riconoscerlo…
Siamo pazzi sognatori
visionari instancabili
non ci obbligheranno
a vivere dentro
le loro ville senza finestre
siamo nati per osare,
stravolgere,
accarezzare.
E se dobbiamo morire
vogliamo farlo
innalzando castelli di poesia,
senza smettere di respirare.
Non ci fermeranno.
Siamo armati di parole:
lasciateci passare
e nessuno si farà male.
Mi scopro a sorridere
del mio pensare
differente…
Mi scopro a perdermi
nelle piccole meraviglie
che sono sempre esistite
intorno a me
ma vedo solo ora.
Mi scopro a sentire
l’eco del mondo
che mi sussurra
verità antiche.
Mi scopro a sognare
a occhi aperti
vissuti chiusi nella memoria
secolari, forse eterni.
Mi trovo diversa
vestita di roccia
con un cuore morbido
come pane fresco
appena sfornato.
Semplice e vera.
Unica.
Mi scopro felice.
Di questo istante
che è spesso di tutto.
Di Vita.
Vetro soffiato fui, a volte, o nube eterea
e forse sbiadito e flebile fu il canto mio
ma nell’evaporare e perdermi sempre trovai
quell’eterno e fugace istante
lì, proprio lì, dove i colori
esplodevano dentro,
cacofonia di vibrazioni fluttuanti.
E da lì rinascevo,
scoprendo ogni volta
la bellezza del mondo.
Ecco le mani, le mie mani,
protese ad afferrare
frammenti di luce.
Ed ero forse, a volte, assenza di movimento
ma nel restare immobile
in balia del vento
sempre ho trovato in me il ritmo di una danza
fra le rughe del tempo.
Ero e sono tutto questo e altro ancora
e forse un dì di iridescenza intrisa
possenti le ali spiegherò
sì, lo farò per elevarmi oltre il blu del cielo.
