Quando mi raccontavi del passato e di come riposa tra le rughe che lascia, il passato era ancora troppo vicino e le tue parole rimasero in superficie.
Per questo con gli anni ho perdonato il mio non capirti, perché mentre ti raccontavo della corteccia che protegge il cuore della magnolia, sorridevi con i piedi ben piantati nel presente, e mentre io credevo, tu credevi di sapere.
Dicevi di volermi bene e non mentivi.
Dicevi che ero la tua vita, e dicevi il vero, e quando dicevi il vero il vero portava il mio nome.
Quando oggi dico il vero, il vero ha il suono del tuo.
Sono stato futuro giocoso quando nemmeno sapevo esistesse il futuro, nemmeno sapevo saresti stato il passato mentre costruivo caverne con i lego, e adesso che sei un foglio bianco e che il presente mi sfugge tra le dita, non hai più mani forti come la corteccia della magnolia, ed io ritrovo i tuoi abbracci nascosti tra le rughe che lo specchio mi porta.
Non si è mai solo padre.
Non si è mai solo figlio.
Non si è mai davvero soli.
Anche lo spirito più libero per manifestarsi ha bisogno di nervi tendini e carne, e l’anima chiama corpo il suo vestito mentre il corpo chiama motore la sua anima.
Tra le labbra dimora il divino nell’attimo in cui danza silenziosa una frase, la più bella sequenza di lettere e sentimento mai esistita.
“Dare al mondo”
La frase che un giorno pronunciasti parlando di me, con il cuore che gridava quant’è difficile renderle onore.
Ed ora lo sento nel petto quel tuo grido un tempo muto, mentre la guardo spostarsi dalle mie mani per guadagnare le braccia del sole, e ogni volta penso che ormai, come tu un giorno hai fatto con me, l’ho data al mondo, ben sapendo che il mondo, ora è lei.
“Come quando stai dicendo addio alla persona che ami, ma poi ti volti per guardarla un’altra volta,
ancora…”.
Come quando stai iniziando a scrivere qualcosa di poetico in corsivo, ma poi, per amore, utilizzi lo
stampato.
Come quando
lo sguardo emozionato e commosso quella mattina nel quartiere del Porto.
Come quando hai saputo di Te e quindi inevitabilmente di Me.
Come quando quasi non ci credevi che ogni cosa
fosse destinata alla tua e solo alla tua persona.
Come quando i tuoi occh
i a San Lorenzo erano ben altro che un insieme di stelle cadenti.
Come quando San Lorenzo, per noi, è ben altro che una notte.
Come quando
che sciocchi quei due che per un bacio rubato potevano volare via.
Come quando potevamo benissimo incontrarci a metà
strada.
Come quando tu mi dicevi che avevo il controllo assoluto sul tempo ed io avrei tanto voluto dirti che non
era così
perché quando ero con te volevo tirare indietro le lancette e non ci riuscivo.
Ed il tempo passava.
Ed io ti perdevo.
Come quando stringevamo le mani.
Come quando, come ora, intensamente continuo.
Continuare…
Si avvia sempre allo stesso modo
lei,
quella penna carica a inchiostro
e presunzione.
Scorre tra il bianco
con la pretesa di far poesia,
danza tra il bianco
con la pretesa di far l’amore
con le muse.
Oggi però mi si ribella
e proprio adesso
mi si rivolta contro indicandomi
con la punta:
“Io son materia al servizio
di chiunque, ben mi cedo
anche al non dotto,
ma sempre vorrei esplodere
tra le mani
di un bugiardo corrotto:
di un poeta!”
Devo averla fatta grossa
alla mia più cara amica,
ha ragione da vendere,
non va offesa mica.
“Non è con la rima banale
che faremo la pace,
qui finisce male:
visto? Anch’io ne son capace.”
E come rimediare
nei versi che vengono ora?
Come spremere le scuse
più sincere e meravigliose
all’ispirazione,
che adesso
mi vuol paralizzato
da una colpa che non dà scampo,
che non dà fiato?
“Che ne dici di cominciare
dicendo la verità?
Che non mi hai nemmeno sfiorata
per realizzare questi versi qua?”
Aspettarti
Un’ora
Un giorno
Una vita
Con pazienza
Illusione
Ardore
Trepidazione
Consapevole
Che insito in ciò
C’è un significato
Dissimulante
Egoistico
Ma vitale
Essenziale
Aspettarti
Per un tempo
Non stabilito
Con la gratitudine
Di chi sa
Che l’attesa
È reciproca
Sono stata io colpita ad una testa
ora perfetta a ragionare con i piedi
Vivo costante come se avessi quattro mani e
butto un occhio ne rimane sempre uno.
Quanta strada per avere solo gambe
queste braccia fanno breccia per la noia
Il mio senno prima o poi sul mio seno o
sulle labbra di una lingua che m’ingoia.
Tra le mani tutto tace forse tranne
il silenzio di una foglia immaginata
percepisco stando in piedi continuando
a lasciare le ginocchia separate.
Non mi sgomito da sola se mi incontro
parte prendo in un arrivo sotto pelle
stanno ferme credo solo le mie unghie
tra i capelli mentre pettino le stelle.
(Si ritorna pur volendo scegliere.)
La sinistra non di certo sta alla destra e
viceversa in questo gioco delle carte
queste ascelle che mi lasciano passare
mentre intreccio o mi traccio su una porta
se di schiena quelle tende sono vuote
Tu a vedere le mie ossa mai raccolte
ma di orecchie anche i muri sono colmi
La mia voce sta in silenzio molte volte.
Preferirei i ricordi…
quelli inventati, di ampie e verdi distese,
di un tiepido vento che canta le note più belle,
dei ciottoli che rimbalzano sul torrente che scorre sotto i miei piedi.
Preferirei l’odore del bosco e il colore del cielo terso.
Quei ricordi che ora ho scordato tra il sudore dei miei pensieri confusi e pesanti.
Sì, preferirei vivere per caso,
senza lancette a scandire il tempo,
senza l’impegno di doverlo fare,
senza i limiti che mi appartengono.
Preferirei essere foglia,
che cambiando colore si stacca dal ramo e che il vento trasporta,
volteggia, e alla fine s’appoggia.
Ci sono parole che non so più riconoscere,
che non mi va di pronunciare,
che forse son rotolate lungo percorsi senza lanterne,
sorelle di ombre che danzano eterne.
Ci sono momenti come questi, che anche i ricordi non sanno tornare.
E mi dispiaccio per questo e mi sento impotente,
mi sento lontana da ieri e da ora,
mi sento in un mondo che seppur m’appartiene,
mi schiaccia mi opprime, mi ruba l’istante.
Fammi essere leggera
un palloncino pieno di elio
che fluttua al di sopra del mondo
tra i bagliori delle stelle
nella stratosfera.
Fammi planare tra le nuvole
aliante affusolato
guidato dall’amore
tra fili di cotone
e il desiderio abbominevole
di essere meglio
di essere di più
di essere ancora
e ancora
e ancora
io
solo io
perfettamente
me.
Fa freddo qui dentro
l’inverno è arrivato
Natale è alle porte
mia madre mi chiama
è tutto pronto per il ricordo
da lontano luci brillano
il tempo vola via
e riaffiorano
antiche gioie intermittenti
noi due a cantare Elvis
noi due a cantare John Lennon
poi a brindare
(ci guardiamo attraverso il vetro)
fuori nevica
e nelle vie di memoria
non fa più freddo.
Notte favola
Notte che s’arrampica
Nera come mai
Nera come gli occhi tuoi.
Fase critica
Karma che s’arrotola
Dice ancora no
Dice quello che non so.
E non è il vento
Ma mi duole il canto
Perché ogni demone
Piange il suo santo,
E soffia il suono
Di un dolore nuovo.
Notte stupida
Notte che moltiplica
Fredda come mai
Fredda come gli occhi tuoi.
Carne in scatola
Frase che s’appiccica
Parla come me
Parla quello che non è.
Non è il mio tempo
Ma si stringe il campo
Perché ogni nuvola
Piange il suo lampo
E soffia il suono
Di un colore nuovo.
Lì
dove noi non troviamo
un povero abile uomo
scolpisce una dea bianca
tanto bella da farsi pensare
da farsi desiderare
umana
Qui
dove noi non rispondiamo
un dio qualunque si sveglia
per reinventarsi
artefice di un disegno
nel quale lui è
ben nascosto
L’arte è tale che non si vede l’arte
Il visionario vede prima degli altri,
ha occhi più veloci
che anticipano il futuro.
Il visionario vede la bellezza prima degli altri,
sa in anticipo come sarà la fine
perché la sua mente non si lascia frenare.
Il visionario immagina realtà possibili
non si lascia intimidire dai rifiuti,
la sua voce è sicura.
Quando tutti sono impietriti
il visionario sa come muoversi,
quando tutti sono spaventati
il visionario sa dove trovare l’audacia.
Il visionario guarda il mondo
con la fantasia del futuro,
sa già cosa c’è dietro l’angolo.
Se incontri un visionario
ascolta le sue labbra
dubita appena delle sue parole
perché lui vede prima di te.
Quei tuoi occhi
sempre via di qui
sempre in lotta
per fuggire
da questo posto
e le tue labbra
socchiuse
doloranti
porte di note
sconvolgenti
Anima sanguinante
generosa di suoni
profondamente eterni
così lievi
da sfiorare l’abisso
così pesanti
da librarsi
tra le nuvole
Grazie per questa eco
lasciata nell’aria
per quei tuoi sogni
lasciati su uno sgabello
come un leggero foulard
Soffocato dal cuscino dell’ordinario
si avvelena con gocce di normalità
fino a crederlo, felice.
Ma poi, la necessità di respirare
è più grande di quella di esserci
e l’urlo
come tappo di sughero a festa
esplode.
Salta in aria.
Raggiunge l’alto,
il cielo leggero,
e danza estasiato con onde spumose
e ancora crea spuma,
spuma di fragile intelletto,
spuma dalla bocca grande
e così si ritorna giù
dopo estasi di infinitezza
e giù
rimane la spuma del cielo
con occhi appannati di grandezza
… Prende di nuovo il cuscino
e
ingoia ancora veleno.
Tutto ciò è mancanza dell’infinito
dannato in eterno, mio pensiero.
Con dolci sorrisi superiamo gli scogli. Viviamo di Poesia profonda nel cuore,
torturato e frantumato,
spazzato via dall’arida
terra di questi tempi!
Vivida Poesia,
arte rinata,
mai dimenticata,
amaci ancora,
infondi profondi
sentimenti di umana natura e di vitale armonia..
Che sia la vita a rinascere
nelle vene malate
e dissanguate
di noi miseri
mortali.
Immaginate la scena…
Una madre
un bimbo piccolo.
Un passeggino
un parco grande.
La mamma si prende
piccoli attimi di libertà.
Relax.
Il bimbo lo avverte tutto questo.
Si guarda intorno.
Si sente improvvisamente… solo.
In preda al panico
comincia a rimuginare dentro
e nella piccola mente, chiedersi:
“ma, mi vuole bene la mamma?”
La mamma ammira gli alberi
il cielo azzurro
il canto degli uccelli.
A occhi chiusi.
A vedere dentro.
Il bimbo è preoccupato
l’indifferenza è qualcosa che non sa gestire
che non riesce ad assimilare
a definire.
Si sente abbandonato
e lancia un urlo di disperazione.
Alza la voce più che può.
Con gli occhi fissi verso la mamma…
Che fa? Si alza?
La mamma abbandona i sogni.
Si guarda intorno
terrorizzata al pensiero sfiorato…
Cos’è successo?
Dimentica tutto di sé
si alza di scatto
corre dal bimbo
Lo prende
lo avvolge caldamente
nel suo petto!
Canticchia….
Gli occhi furbi del bimbo
sembra che dicono “sei mia!”.
Ecco…
Io vorrei
che nei miei momenti di solitudine
quando lotto con i sensi dell’abbandono,
qualcuno
con la premura di una madre
lasci se stesso
e mi avvolga
nel suo petto!!!
Languido sussurra
La sua poesia il mare
Mentre sulla sabbia
Bacia l’ultimo sole
Giungono a me dolci
Silenti parole d’amore
Chiuse in conchiglie
Come scrigni di gioie
