Lei ha un cane. Un cane ha lei. Lei ha un suo mondo, lo sguardo assente, vecchi vestiti, la testa chinata. Anche il cane ha un suo mondo, gravita dentro gli occhi assenti dell’unica amica.
Intanto altri mondi corrono davanti a loro, a volte sfiorandoli.
Senza trasporto, quasi per caso.
Lei alza lo sguardo.
Vede quell’uomo e il suo passo veloce.
Abbassa lo sguardo, scuote la testa.
Il cane la guarda e muove la coda.
L’uomo con la valigia ha sempre più fretta di arrivare a sera, si accumulano chiamate senza risposta sul cellulare, salgono decine di anni sulle sue spalle curve.
A volte toglie la fede e compra venti minuti d’amore fasullo, poi torna a casa, bacia la moglie e accarezza la fronte del figlio che dorme.
Oggi è domenica.
L’uomo con la valigia porta la macchina all’autolavaggio, pulisce i tappetini, svuota il portacenere, passa il panno sul cruscotto.
Alle dieci e mezza va a messa.
Recita il Padre Nostro, l’Atto di dolore, stringe mani senza guardare a quale volto appartengono.
Posa nel cesto due monete da venti centesimi, il resto del caffè.
Esce dal portone dopo aver salutato la croce e ripreso la sua, sale in macchina, la radio canta “Almost blue” di Chet Baker, sorride pensando al bar del porto, dove la chiedeva al juke box.
Decide di tornarci.
Ora è davanti al bar, il sole dritto sulla sua testa.
Entra, non trova il juke box, ma il tavolino vicino alla finestra che dà sul mare è ancora lì, stessa tovaglia a quadri rossi e bianchi, stesse sedie graffiate, stessa polvere, stesso odore di salsedine.
Ordina un Jack Daniel’s e una media rossa alla spina.
Il mondo corre là fuori, i suoi pensieri anche.
È quasi buio e le medie rosse sono diventate tre.
Come i Jack Daniel’s.
Risale in macchina, il parabrezza è uno schermo aperto sullo spettacolo del mare.
Apre la valigia e tira fuori la Beretta 92 di suo padre.
Sorride, toglie la sicura, poggia la canna sulla tempia e preme il grilletto.
Ora i suoi pensieri sono sparsi sui sedili, sui tappetini, sul parabrezza.
Una foto attaccata al volante con un pezzo di scotch lo guarda.
Erano a Barcellona, due milioni di anni fa, quando ancora riuscivano a sorridere, dietro le loro spalle una signora tiene in braccio un cane, li guarda e sorride alla loro felicità.
Lei, poco lontano, sta preparando le coperte per la notte, dorme tra i container.
Il cane la guarda e muove la coda.
Lei chiude gli occhi e ripensa all’uomo con la valigia.
Si chiede se anche per lui è finalmente arrivata la sera.
Le domande degli amanti
Aleggiano nella mente
Vengon fuori impertinenti
Provocando dei tormenti.
Un cuore innamorato
È curioso di sapere
Ha l’ansia di scoprire
E non vuole più aspettare.
Mi ama non mi ama
Mi pensa non mi pensa
Non c’è margherita che tenga
Non basta un prato intero
Glielo chiedo per davvero.
Ma poi il quesito aborro
Ci ripenso e lo ripongo
Nella scatola proibita
Dei pensieri tutti in fila
Sulla linea di partenza.
Sono fermi, un po’ bloccati
In attesa di partire,
Ma un altro falso andare
Li rimette indietro, marche!
La retorica ci insegna
che la risposta è ovvia
Ha un valore l’ammissione?
E direi proprio di no!
Due cuori innamorati
Godono il momento
Vivono il presente
Senza ipotecare futuro
O sentimenti.
Il cuore avrà pazienza
E magari la risposta
La dovrà solo aspettare
Senza neanche domandare!
Di parole ne ho sempre a tiro, una dozzina sporca, sporche, scartate, scarface,
Profumo di Dior e puzzo di vita disinnesco ispirazioni,
Ma sull’amore cosa vuoi dire?
Proviamo insieme. Mollo il freno a mano. Ci sei?
La working class riposa sono tutti troppo trendy
Macchine griffate prendi la bottiglia sotto al sedile è quasi sera
Me ne frego Achille Lauro nello stereo il vestitino di Sanremo
Cin cin, eravamo così belli prima di diventare adulti
Ci siamo mancati per un pelo sorsi di pastis colazioni col gin tonic
La tipa del sabato mi strizza l’occhio e mi sorride mi dà un appuntamento
La mia ford a settemila giri in California occhi negli occhi con Dio o qualcosa che gli assomiglia
Il Cigno danzava a Barcellona il Genio di Atene il settimo sigillo
Abbassa i finestrini i coldplay Charlie Brown storie in strisce
Buone intenzioni sceneggiature inventavamo storie con Bertelli
Hollywood non è così lontana pisciamo sull’insegna e ce ne andiamo
La nostra stella sulla walk of fame cosa ne direbbe Dylan?
Luglio, Il re americano è ancora in maglia gialla,
Split – soffriamo di personalità – venti, virus, viveurs
Alza la voce, litighiamo, rischiamo zone d’ombra
Rivoltami senza doppi sensi come l’armadietto della scuola.
Nel parcheggio dello stadio non c’e più nessuno. Spegni la luce.
Lingua in bocca, mettiamoci alla prova. Mezz’ora, non di più. Mi regali le mutande?
Siamo quelli le cui lacrime scorrono
sul viale dell’amor proprio
costretto a ingoiare ogni giorno
l’ennesimo veleno di rinuncia
perché la parola ultima
non potrà mai sgorgare
da labbra socchiuse
Siamo quelli che le labbra
devono serrarle
sotto il sole e sotto le stelle
Siamo quelli che amano la giustizia
ma hanno sempre
qualche bocca da sfamare
E il sangue che ci scorre nei pensieri
prende fuoco ad ogni alba
per tornare a coprirsi di silenzi
ad ogni calar della sera
Non c’è niente di olimpico
Si diventa compassati
per il non saper trovare
suoni che cambierebbero
gli occhi di un mondo a caso
che non aspira al cambiare
Il cambiare è sporcarsi
e dirlo tutto
partendo da una
delle due schiere di ascolto
Non c’è rassegnazione né finzione
c’è l’inizio ennesimo di qualcosa
per cui non c’è la parola e non c’è l’uomo
Non c’è niente di olimpico
nell’eleganza che pure insegnano
i Poeti
agli Dei
Controllavo le tasche.
Un numero di centesimi
alto da farti incazzare;
tanti e comunque inutili.
La mente bloccata dal denaro,
o meglio dalla sua mancanza.
Qual pensiero poetico può nascere
dal cervello di un poveraccio?
E quindi andai a caccia del grano,
che senza soldi il problema
diventa anche morale.
Perché mangiare non basta,
devi anche saziare il giudizio
del buon vicinato.
Tranquillità economica con fatica e
buon pensiero di paese;
tranquillità economica con fatica è
buon pensiero di paese;
Da qui può cominciare la poesia.
Ora lavoro e produco cose, per altri.
Ho qualcosa in cambio, ma dono il tempo.
Tempo ed energie al direttore!
Potesse almeno scrivere lui
avrei la buona coscienza
di sacrificarmi per un poeta, macché.
E quindi eccomi qui,
alle 2:15 del mattino,
o della notte,
che vuoi che importi.
Qui stanco a scrivere
questi versi sgangherati,
riflesso di una mente sgualcita
e un corpo stanco.
Scrivere su un telefono
con una sterile luce bianca
e fastidiosa puntata negli occhi;
vedere i caratteri neri comparire
al tocco unto dei miei pollici sullo schermo…
Che cosa patetica.
Niente rime,
più prosa che poesia.
Qualcuno forse vedrà
in questo tormento
un’arte decadente,
affascinante come affascina la morte.
Ma fratelli cari,
la poesia non è qui,
non prendiamoci in giro.
La poesia l’avete voi nello sguardo
e io, fossi in voi,
comincerei ad avere paura,
comincerei a trovare lavoro.
È inutile fuggire.
Chi ti vuole stare accanto
ci sarà con ogni mezzo.
Non servono parole
solo comprensione
mettersi nei panni dell’altro
aiutarlo a far luce.
Non è necessario delirare
o mettere in atto gesti eclatanti.
C’è una forza più potente
una forza che resiste a tutto
e dice:
“Sarò dalla tua parte
anche a costo
di annullare la ragione.”
Quante parole
e quanti rumori intorno a noi.
Ma tu,
chiudi gli occhi
e ascolta nel silenzio
le parole del mio cuore,
che ha ripreso a battere
al ritmo del tuo amore.
È tardi, madre.
È tardi, padre.
Scende la sera ormai come un manto sul mondo,
Resiste a lei ma poi si arrende, ciò che ancor resta del giorno.
È tardi.
Ed i passi lenti proseguono, nel riverbero del tramonto.
Ed io guardo voi, le mani intrecciate ancora e sempre in fragili sentieri di stelle
in questo abbraccio stretto stretto
lungo una vita
e mi capita di pensare, a volte, che se con penna e carta
le rughe vostre io ricalcassi, esse sul foglio vita prenderebbero
per raccontare una storia, la vostra storia.
È tardi, madre.
È tardi, padre.
Scende la sera ormai, come un manto sul giorno.
E mi capita di pensare che se di descrivere l’amore
io mai avessi bisogno
di voi io parlerei
della vostra vita insieme, come un lungo e bellissimo sogno.
Descriverei le vostre attese,
le vostre tenerezze
ed anche i litigi e le manchevolezze.
Di voi se mi chiedessero io solo parlerei,
o forse starei in silenzio
e una vostra foto mostrerei.
Il desiderio va
il desiderio fende
(finché c’è spazio).
Esso non raggiungendo
raggiunge,
già alle tue spalle quando è arrivato e
già lì se non parte.
Il desiderio vive
del suo stesso morire,
languendo è canto
(finché silenzio).
Desidero ad esempio
distruggere questa pagina
che vive solo se tu leggi,
quindi sempre desidererò distruggerla
affinché essa viva
(finché tu leggi).
Non sono superficiale.
Neanche presuntuosa.
Nel mio sussurrarti piano…
Ti Amo.
Ho scavato dentro me
per arrivare alle radici
di quel che sento.
E mi sono guardata allo specchio
per essere vera
nel riflettere i miei sogni.
Tutto combacia.
Tutto in sintonia
con il canto che mi suona dentro.
I miei mondi,
quello che mi batte nel petto
e quello che svolazza fuori
sono d’accordo
e si danno la mano.
Ti Amo.
Per sempre.
Non so se serve un punto
o un punto esclamativo;
so che serve qualcosa
per contenere la mia gioia.
