LibEreria

Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Sala Lettura – Febbraio 2020

Lei ha un cane. Un cane ha lei. Lei ha un suo mondo, lo sguardo assente, vecchi vestiti, la testa chinata. Anche il cane ha un suo mondo, gravita dentro gli occhi assenti dell’unica amica.

Intanto altri mondi corrono davanti a loro, a volte sfiorandoli.

Senza trasporto, quasi per caso.

Lei alza lo sguardo.

Vede quell’uomo e il suo passo veloce.

Abbassa lo sguardo, scuote la testa.

Il cane la guarda e muove la coda.

L’uomo con la valigia ha sempre più fretta di arrivare a sera, si accumulano chiamate senza risposta sul cellulare, salgono decine di anni sulle sue spalle curve.

A volte toglie la fede e compra venti minuti d’amore fasullo, poi torna a casa, bacia la moglie e accarezza la fronte del figlio che dorme.

Oggi è domenica.

L’uomo con la valigia porta la macchina all’autolavaggio, pulisce i tappetini, svuota il portacenere, passa il panno sul cruscotto.

Alle dieci e mezza va a messa.

Recita il Padre Nostro, l’Atto di dolore, stringe mani senza guardare a quale volto appartengono.

Posa nel cesto due monete da venti centesimi, il resto del caffè.

Esce dal portone dopo aver salutato la croce e ripreso la sua, sale in macchina, la radio canta “Almost blue” di Chet Baker, sorride pensando al bar del porto, dove la chiedeva al juke box.

Decide di tornarci.

Ora è davanti al bar, il sole dritto sulla sua testa.

Entra, non trova il juke box, ma il tavolino vicino alla finestra che dà sul mare è ancora lì, stessa tovaglia a quadri rossi e bianchi, stesse sedie graffiate, stessa polvere, stesso odore di salsedine.

Ordina un Jack Daniel’s e una media rossa alla spina.

Il mondo corre là fuori, i suoi pensieri anche.

È quasi buio e le medie rosse sono diventate tre.

Come i Jack Daniel’s.

Risale in macchina, il parabrezza è uno schermo aperto sullo spettacolo del mare.

Apre la valigia e tira fuori la Beretta 92 di suo padre.

Sorride, toglie la sicura, poggia la canna sulla tempia e preme il grilletto.

Ora i suoi pensieri sono sparsi sui sedili, sui tappetini, sul parabrezza.

Una foto attaccata al volante con un pezzo di scotch lo guarda.

Erano a Barcellona, due milioni di anni fa, quando ancora riuscivano a sorridere, dietro le loro spalle una signora tiene in braccio un cane, li guarda e sorride alla loro felicità.

Lei, poco lontano, sta preparando le coperte per la notte, dorme tra i container.

Il cane la guarda e muove la coda.

Lei chiude gli occhi e ripensa all’uomo con la valigia.

Si chiede se anche per lui è finalmente arrivata la sera.

Le domande degli amanti

Aleggiano nella mente

Vengon fuori impertinenti

Provocando dei tormenti.

 

Un cuore innamorato

È curioso di sapere

Ha l’ansia di scoprire

E non vuole più aspettare.

 

Mi ama non mi ama

Mi pensa non mi pensa

Non c’è margherita che tenga

Non basta un prato intero

Glielo chiedo per davvero.

 

Ma poi il quesito aborro

Ci ripenso e lo ripongo

Nella scatola proibita

Dei pensieri tutti in fila

Sulla linea di partenza.

 

Sono fermi, un po’ bloccati

In attesa di partire,

Ma un altro falso andare

Li rimette indietro, marche!

 

La retorica ci insegna

che la risposta è ovvia

Ha un valore l’ammissione?

E direi proprio di no!

 

Due cuori innamorati

Godono il momento

Vivono il presente

Senza ipotecare futuro

O sentimenti.

 

Il cuore avrà pazienza

E magari la risposta

La dovrà solo aspettare

Senza neanche domandare!

Di parole ne ho sempre a tiro, una dozzina sporca, sporche, scartate, scarface,

Profumo di Dior e puzzo di vita disinnesco ispirazioni,

Ma sull’amore cosa vuoi dire?

Proviamo insieme. Mollo il freno a mano. Ci sei?

La working class riposa sono tutti troppo trendy

Macchine griffate prendi la bottiglia sotto al sedile è quasi sera

Me ne frego Achille Lauro nello stereo il vestitino di Sanremo

Cin cin, eravamo così belli prima di diventare adulti

Ci siamo mancati per un pelo sorsi di pastis colazioni col gin tonic

La tipa del sabato mi strizza l’occhio e mi sorride mi dà un appuntamento

La mia ford a settemila giri in California occhi negli occhi con Dio o qualcosa che gli assomiglia

Il Cigno danzava a Barcellona il Genio di Atene il settimo sigillo

Abbassa i finestrini i coldplay Charlie Brown storie in strisce

Buone intenzioni sceneggiature inventavamo storie con Bertelli

Hollywood non è così lontana pisciamo sull’insegna e ce ne andiamo

La nostra stella sulla walk of fame cosa ne direbbe Dylan?

Luglio, Il re americano è ancora in maglia gialla,

Split – soffriamo di personalità – venti, virus, viveurs

Alza la voce, litighiamo, rischiamo zone d’ombra

Rivoltami senza doppi sensi come l’armadietto della scuola.

Nel parcheggio dello stadio non c’e più nessuno. Spegni la luce.

Lingua in bocca, mettiamoci alla prova. Mezz’ora, non di più. Mi regali le mutande?

Siamo quelli le cui lacrime scorrono

sul viale dell’amor proprio

costretto a ingoiare ogni giorno

l’ennesimo veleno di rinuncia

 

perché la parola ultima

non potrà mai sgorgare

da labbra socchiuse

 

Siamo quelli che le labbra

devono serrarle

sotto il sole e sotto le stelle

 

Siamo quelli che amano la giustizia

ma hanno sempre

qualche bocca da sfamare

 

E il sangue che ci scorre nei pensieri

prende fuoco ad ogni alba

per tornare a coprirsi di silenzi

ad ogni calar della sera

Non c’è niente di olimpico

 

Si diventa compassati

per il non saper trovare

suoni che cambierebbero

gli occhi di un mondo a caso

che non aspira al cambiare

 

Il cambiare è sporcarsi

e dirlo tutto

partendo da una

delle due schiere di ascolto

 

Non c’è rassegnazione né finzione

c’è l’inizio ennesimo di qualcosa

per cui non c’è la parola e non c’è l’uomo

 

Non c’è niente di olimpico

nell’eleganza che pure insegnano

i Poeti

agli Dei

Controllavo le tasche.

Un numero di centesimi

alto da farti incazzare;

tanti e comunque inutili.

 

La mente bloccata dal denaro,

o meglio dalla sua mancanza.

Qual pensiero poetico può nascere

dal cervello di un poveraccio?

 

E quindi andai a caccia del grano,

che senza soldi il problema

diventa anche morale.

Perché mangiare non basta,

devi anche saziare il giudizio

del buon vicinato.

 

Tranquillità economica con fatica e

buon pensiero di paese;

tranquillità economica con fatica è

buon pensiero di paese;

Da qui può cominciare la poesia.

 

Ora lavoro e produco cose, per altri.

Ho qualcosa in cambio, ma dono il tempo.

Tempo ed energie al direttore!

Potesse almeno scrivere lui

avrei la buona coscienza

di sacrificarmi per un poeta, macché.

 

E quindi eccomi qui,

alle 2:15 del mattino,

o della notte,

che vuoi che importi.

 

Qui stanco a scrivere

questi versi sgangherati,

riflesso di una mente sgualcita

e un corpo stanco.

 

Scrivere su un telefono

con una sterile luce bianca

e fastidiosa puntata negli occhi;

vedere i caratteri neri comparire

al tocco unto dei miei pollici sullo schermo…

Che cosa patetica.

 

Niente rime,

più prosa che poesia.

 

Qualcuno forse vedrà

in questo tormento

un’arte decadente,

affascinante come affascina la morte.

 

Ma fratelli cari,

la poesia non è qui,

non prendiamoci in giro.

La poesia l’avete voi nello sguardo

e io, fossi in voi,

comincerei ad avere paura,

comincerei a trovare lavoro.

È inutile fuggire.

Chi ti vuole stare accanto

ci sarà con ogni mezzo.

Non servono parole

solo comprensione

mettersi nei panni dell’altro

aiutarlo a far luce.

Non è necessario delirare

o mettere in atto gesti eclatanti.

C’è una forza più potente

una forza che resiste a tutto

e dice:

“Sarò dalla tua parte

anche a costo

di annullare la ragione.”

Quante parole

e quanti rumori intorno a noi.

Ma tu,

chiudi gli occhi

e ascolta nel silenzio

le parole del mio cuore,

che ha ripreso a battere

al ritmo del tuo amore.

È tardi, madre.

È tardi, padre.

Scende la sera ormai come un manto sul mondo,

Resiste a lei ma poi si arrende, ciò che ancor resta del giorno.

È tardi.

Ed i passi lenti proseguono, nel riverbero del tramonto.

Ed io guardo voi, le mani intrecciate ancora e sempre in fragili sentieri di stelle

in questo abbraccio stretto stretto

lungo una vita

e mi capita di pensare, a volte, che se con penna e carta

le rughe vostre io ricalcassi, esse sul foglio vita prenderebbero

per raccontare una storia, la vostra storia.

È tardi, madre.

È tardi, padre.

Scende la sera ormai, come un manto sul giorno.

E mi capita di pensare che se di descrivere l’amore

io mai avessi bisogno

di voi io parlerei

della vostra vita insieme, come un lungo e bellissimo sogno.

Descriverei le vostre attese,

le vostre tenerezze

ed anche i litigi e le manchevolezze.

Di voi se mi chiedessero io solo parlerei,

o forse starei in silenzio

e una vostra foto mostrerei.

Il desiderio va

il desiderio fende

(finché c’è spazio).

Esso non raggiungendo

raggiunge,

già alle tue spalle quando è arrivato e

già lì se non parte.

Il desiderio vive

del suo stesso morire,

languendo è canto

(finché silenzio).

Desidero ad esempio

distruggere questa pagina

che vive solo se tu leggi,

quindi sempre desidererò distruggerla

affinché essa viva

(finché tu leggi).

Non sono superficiale.

Neanche presuntuosa.

Nel mio sussurrarti piano…

Ti Amo.

Ho scavato dentro me

per arrivare alle radici

di quel che sento.

E mi sono guardata allo specchio

per essere vera

nel riflettere i miei sogni.

Tutto combacia.

Tutto in sintonia

con il canto che mi suona dentro.

I miei mondi,

quello che mi batte nel petto

e quello che svolazza fuori

sono d’accordo

e si danno la mano.

Ti Amo.

Per sempre.

Non so se serve un punto

o un punto esclamativo;

so che serve qualcosa

per contenere la mia gioia.

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