LibEreria

Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Sala Lettura – febbraio 2019

Trattare
ogni ferita
come solco
in terra fertile
spargere semi
dove il contadino
traccia
le sue strade
dolorosa è l’attesa
madre natura ha i suoi tempi
ma veder sbocciare il fiore
sarà meraviglioso
colorato dal sangue
ammorbidito dal dolore
sorridente dal ricordo
berrà acqua fresca dal sole
terra che rimane terra
ma ricca di opportunità
casa che protegge storie
che accadono in una pagina
braccia che sostengono
occhi che consolano
paura che svanisce
in un sogno ormai lontano

A caccia di lampi
di genio o di follia,
con l’animo sempre
almeno doppio e
frainteso.
Ma che importa!
Col cervello liscio
tra le maschere sociali,
con valli e monti su terre
eteree: certo nebulose,
non meno reali.
Ma a chi importa!
Parla a nessuno e
pensa per tutti,
con la boria del volgo
scontra i suoi flutti.
Per loro è vento fuori casa,
tempesta nel vuoto.
Ma gli importa?
Ama e odia come solo
chi ama giusto, come
chi guarda l’altrui sorte e
non prova gusto.
Gli importa!
Penna impotente è
la sua per chi si pugnala con diletto,
un occhio al dì e l’altro
prima di andare a letto.
Non gli importa!
Lasciarli andare, cadere
come foglie morte, che
per chi dorme come loro
non c’è sveglia così forte.
No, non gli importa!
Eppur sta male, si tortura
tra i viaggi in terre ombrose
a cercar la lingua giusta.
Che così martoriato vede
l’uomo in carne,
un abisso e più lontano
da colui che dalla testa
non vuole uscirne.
Sì, gli importa!
Per quello spettro tra le orecchie
continuerà le sue ricerche:
si farà strada tra l’indifferenza loro
e viaggerà per quel tesoro.
SÌ, gli importa!
Lo donerà a quel mostro promettente,
di corsa e senza fiato,
lo donerà a quel prezioso
aborto dello stato.
SÌ, GLI importa!
Insieme penseranno, due
teste, penne, lingue e
tesori: a caccia di nuovi
orrori!
SÌ, GLI IMPORTA!

Mi salvo solo nel mio substrato
dove la pelle è vestito
di vibrazioni
e l’universo, diafano ed impalpabile
strato di effimero ed immortale,
è alimento
dell’anima mia.

Eri tu la mia poesia
mi parlavi la notte
ti ascoltavo di giorno
vestiva la fantasia
i nostri desideri
eravamo noi
nel buio del mare
con scie di barche
a guardare le stelle
distanti le mani
abbracciati i pensieri
persi lontano
come nei sogni
i nostri nomi
sussurrati dal vento
naufragati infine
tra oscure onde

Ecco questi versi inediti
nell’inedita mia voglia
di cantare a parole
la storia dei pirati buoni
che vogliono cambiare il mondo
a colpi d’ascia poetica
ecco subito giungere
il capitano
con la sua fedele sognatrice
colei che ha inventato l’amore
nel sud della sua terra interiore
ed eccola, l’altra poetessa
con la sua dolce barcollante
tristezza allegra
guarda, arrivano gli altri
piano piano
incalliti creatori della rivoluzione
in quanti sono
in quanti siamo?
Non ci è dato saperlo
ma sappiamo bene
che sono tutti belli
e incazzati come gli eroi
niente è comune
nel cuore di questi uomini
niente è banale
nel sangue di queste donne
nelle idee di questi guerrieri
che uccidono la morte
ogni giorno
con la punta affilata
di una penna
ed eccomi finalmente anch’io
un po’ in affanno
con la mia fedele speranza
felice di esserci
e di diffondere parole spray
come ventate d’aria fresca
sul viso dei passanti
che ancora si chiedono
com’è possibile
com’è possibile
che al mondo esista ancora
così tanta bellezza

Lui era lei.
Lei era ciò che lui aveva deciso.
Lui muoveva i fili.
Lei sognava la realtà.
Osservare il Grande Autore all’opera era uno spettacolo sconcertante, poteva manovrare il sogno dall’interno prevedendo le mosse.
Perché la realtà, in fondo, è solo un punto di vista.
Infatti per dieci minuti rimase sdraiata sull’erba odorosa di un prato immenso trapunto di tarassaco, mentre il sole andava e veniva sugli occhi suoi chiusi e la mia voce lontana un centimetro dall’orecchio e un millimetro dal cuore ripeteva “sono qui”.
Si faceva baciare la fronte, sentiva sulle guance le gocce calde che chiamava pioggia, le gocce calde che chiamavo lacrime.
I suoi dieci minuti furono i miei ventitré giorni d’attesa.
La guardavo con gli occhi sbarrati, mangiato com’ero dai fotogrammi di quel maledetto pomeriggio che aveva reso differenti le nostre realtà.
Il faro del Renault 4 che invade la corsia riducendo il raggio della pupilla, l’alternarsi del buio e della luce, le voci, il bagliore blu delle sirene, il cuore fuori dallo sterno, lo spasmo muscolare, la parola addio che non esce dalle labbra, un prato immenso trapunto di tarassaco.
La realtà è solo un punto di vista.
Io tacevo spianando le pieghe del lenzuolo aspettandola da questa parte della verità, e non c’era poesia nel suo coma, ma nella sua pelle sì, volevo i suoi occhi nei miei, per questo sentiva i miei occhi nei suoi.
Perché la realtà è solo un punto di vista, ma l’amore no.

Questo tramonto è un’albicocca
e fa paura
è mia nonna
che in primavera diventa
ciliegia e nespola taciturna, dice
esprimi il desiderio per la prima della stagione
d’estate saranno i fichi e le pesche
a farci scordare la morte
e in inverno sempre lo stesso melograno
non ancora maturo
Questo tramonto
è incendio
una sigaretta finita troppo in fretta
la paura che lei muoia e io le abbia solo fatto del male
Ho finito il pennarello arancione
sono rimasti solo Riopan già aperti
e io non so ancora vomitare
a vent’anni
non so ancora volerle bene
cerco ancora un colpevole
da accusare
non volevo vedere la morte così giovane
non ho nemmeno raggiunto il metro e sessanta
e ho ancora paura delle farfalle
Io non volevo essere cattiva come mio padre
ma a vent’anni
io non so ancora trattenere
Questo arancione
è difficile come Bassai sho
e io resto ancora un piccolo magikarp
Ma questo tramonto
è sempre lo stesso melograno
non ancora maturo
Non è ancora tempo
tramonto resta qui
finché non imparo a vomitare

Sarò forte
col debole in me
sempre nuovo inventore
per il principio accogliente
che in me
dolente e grato
riconosco
e sarò debole
col forte in me
portatore di pace
che fa testo e tesoro
da ciò che è dono
e che è visione
e sarà bellezza contenuta
ciò che è forte ed è invadenza
e sarà bellezza continente
ciò che è debole ed è abbraccio
e sarò rivoltoso maschio
con la lucente femmina in me
che mi cerca
e sarò risposta femmina
per il combattente maschio in me
che mi elegge
sarò nato
e sarò forte coi deboli e debole coi forti
in un finto fuori di me
che è la somma del sommo delle umanità
delle volontà
di comunicazione
di ricerca possibile
di ricerca comune
nasce così
in ogni nuovo nato me
speranzoso per ogni te
il veicolo spaziale e temporale
con a bordo tutti
i beati poveri di spirito
i felici nell’avanzare affamati
i riconoscenti nel riconoscersi
i desiderosi di avere e di essere
parola
perché di essi è il regno
non di questo mondo
perché di essi è il regno
lo è già

Mi guardo intorno
e cerco di farmi largo
fra bassezze ed ingiustizie
a volte brancolo nel buio
a volte incespico
Mi guardo intorno
e cerco la luce

bagliori di luce
che mi aiutino
a farmi strada
A volte mi basta
afferrare un raggio di sole
e avvicinarmelo al cuore
oppure guardare gli occhi
lucenti e dolci
di un bambino
sospesi come due stelle
nel loro mondo di speranze
A volte mi soffermo su un sorriso
che si posa su di me silenzioso
come candida neve
Mi guardo intorno
e cerco la bellezza
che si palesa
anche in una tenera e potente parola
ed il buio si dissolve.

Avrai tepori nuovi,
Ove oggi vige il freddo.
Un mondo da scoprire
Quando il sole splende alto.
Dieci sorrisi in un momento.
Avrai un forte sussulto
dentro di te.
Aprirai gli occhi
Verso il cielo!
Non arrenderti, piccola mia
nze
Trasfigurano prima o dopo
Altri giorni spietati
Nei volti illuminati di amara consapevolezza
Degli abituati

Chiedo a Voi Pirati di riconoscere le mie mani su queste parole,
alle quali nemmeno io so d’appartenere.
Da questa riva del fiume impetuoso
dove diventa gioco il rischio e il limite mio ora non conosco,
dalla cima di un albero spoglio,
aspetto il mutare delle mie stagioni,
e nelle cadute mi accoglie la terra ora ancora fredda.
Ma vabbè ci si rialza al gocciolio ritmico di questo cielo d’inverno, e raccolgo i capelli bagnati che c’ho da far una treccia che si unisca a quel ponte, dove raggiungere chissà quali mete.
E chiedo a Voi Poeti: chi sono? Son io? Sei tu?
Siamo Noi a divider la barca, a giocare ai pirati con penne d’inchiostro, che tingono animi, corpi e pensieri, così, come se fosse ancor ieri, che nella cesta ti culla, ti abbraccia e sorride il calore avvolgente del Dolce Nulla!

Le mani
non sanno mentire
e non c’è inganno
in un abbraccio.
Quando ti trovi
confuso e perso
tra migliaia di parole,
tuffati in un abbraccio
quello che non aspetta altro
che… contenerti.
E fatti mappa
per quelle mani
che cercano di conoscerti.
Le sensazioni che proverai
ti daranno le risposte che cerchi.
Non c’è bisogno di tradurre
certe mani,
silenzia i battiti
trattieni il respiro
e senti…
Quante belle cose
si possono dire
sfiorandosi.
Non avere fretta
e trovati
le mani giuste.

Si seguono le ombre, come senza
accorgersene a probabili collegamenti e
si coprono di ombre,
lasciandoci nudi e soli alla vergogna di
essere noi i limiti.
Ora insegui le ombre che seguono le stesse,
formano il solo concetto,
che tutto e niente è.
Il giudizio sparisce invisibile,
lo sento dalla pelle che prende vita,
lasciando il cielo respirare.
Praticaestetica
distante e latente se occhi non hai,
da vedere nuotare le ombre.

In questo momento della mia vita stanno tutti bene.
Un equilibrio mai visto da prima che nascessi tiene insieme tese come tendini le connessioni della mia
famiglia.
Sta bene mia madre che dopo quarant’anni è tornata ad esser moglie per curare suo marito. Sta bene mio
padre che alla fine è guarito. Sta bene Emir che dorme ancora con la foto di Martina appoggiata al
comodino. Sta bene il suo bambino che vuole diventare un calciatore e passare la sua vita a giocare col
pallone. Sta bene anche il cane che solo quest’estate camminava a malapena.
Stanno bene, tutti bene.
Ho deciso di partire.
Attraversare la frontiera il mese di gennaio non è una buona idea, adesso lo so, forse un po’ in ritardo ma la
guerra è ora e non aspetta primavere.
Come spesso accade in questi anni disgraziati, le notizie non tengono il ritmo degli eventi e al mio arrivo in
città sono già scappati tutti.
Incrocio solo un vecchio silenzioso seduto all’angolo di strada e parliamo: – Sei arrivato troppo tardi. Sono
già partiti tutti. L’ultima nave sta salpando. Il nemico sta sfondando, trapassando Nova Goriça.
Provo a correre in fondo alla strada ma la nave è già lontana. Appoggio le spalle al muro, scivolo con la testa
tra le mani. Esplosioni ad ovest. Il nemico è dietro l’angolo.
Torno dal mio vecchio, mi siedo accanto a lui, gli chiedo da mangiare.
Il cibo da sempre unisce ed inizio a raccontare: – Il primo crac è stato alla vigilia. Ho sentito di dover
difendere la mia famiglia. Ho moglie e figli in questo posto e son partito per portarli via prima dell’arrivo
della guerra. Ma sono arrivato ancora tardi. Sono arrivato sempre tardi. Ma quando son tornato a casa ero
più grande.
Prende un pezzo di formaggio conservato sotto la sedia, srotola il fazzoletto che lo avvolge e lo stende sulle
gambe. Lascia scattare la lama silenziosa di un coltello e in silenzio ne taglia un pezzo e lo porta alla bocca.
Adesso che siamo seduti insieme, a mangiare in questo posto abbandonato, tutto è diventato più tranquillo.
Mi allunga il secondo pezzo di formaggio,con calma tutto quel che ancora ha. Gli offro la mia storia, tutto
quel che ancora ho.
– Mio nonno mi diceva che finché non lo perdi non capisci mai quant’è grande quel che hai. Ma niente è
ancora perso. Ho una mamma ed un papà. Un fratello mollato dalla moglie e un nipote calciatore. Una
moglie e un figlio in fuga dalla guerra. Ho anche un cane. Stanno tutti bene.

Il cielo sta cadendo
ma tu spicchi un salto,
stelle taglienti ti tracciano
il viso,
ma tu ti ci infili.
Il cielo cade e
tu lo guardi
intontito, eccitato
fuorviato.
Il nostro cielo sta cadendo,
il sole sta sparendo,
costellazioni segrete
ci sbarrano il passo.
Ma io non posso
sempre salvarti,
la forza di Atlante
non ho più,
questa volta ti
soccomberà
rialzati tu
le mie braccia
sono sfinite,
ma se condividiamo il peso
il cielo reggerà.

Mi penso nudo
e mi faccio schifo,
ci son due oche
qua qua qua che fanno il tifo.
Mi penso buono
i rimpianti in mano,
c’è un coccodrillo
già con le lacrime invano.
Mi penso vero
o almeno credo,
ci son tre scimmie
che non sento, parlo, vedo.
Mi penso bravo
o almeno in grado
con l’asino
legato dove vuole il capo.
Mi penso matto
e mi piaccio molto,
l’unico cane
che mi segue è quello sciolto.
Mi penso adulto
e mi sento grande,
ho un elefante
che ricorda le domande.
Mi penso salvo
mi hanno avvisato,
la capra mangia
i cavoli che ho coltivato.
Mi penso uomo
e ringrazio Dio,
grazie al cavallo
che ha la febbre al posto mio.
Mi penso estraneo
un corpo alieno,
sono la serpe
che scorazza sul tuo seno.
Mi penso ingordo
tra il pane e il vino,
la gatta al lardo
ha ritrovato lo zampino.

La fauna umana
e quella disumana.
Giungla di voci
sussurri e grida atroci.
Cani e caimani
e squali con le mani
a stringer mani
e fottere denari.
Simpatici somari
pantere e pantegane
pulci polli poiane
anime ed animali
capre e capretti
capetti e caporali.
I gesti più cordiali
pietà sincera
la bontà vera
e la violenza pura.
Le bestie che si credono normali
secondo me son sempre le più strane
e fan paura.

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