La signora dai capelli rossi ti vende la morte con il sorriso
Il contadino ti vende la vita col volto accigliato
Entrambi sono pienamente consapevoli dell’ingiustizia che commettono
Entrambi non la pronunciano per tentare di dissimulare
Ma dalle loro vite trapela smarrimento
Hanno stretto un patto tra di loro
Mai ammettere, mai confessare
Così le loro nefandezze se le chiuderanno nella tomba
La bontà d’animo è un difetto da queste parti, tuo dovere adeguarti
devi farlo per il tuo carnefice
devi farlo per sopravvivere alla vita
Per curare ferite dell’ascolto di sé
ti aggrappi a case a perdite a identità
utili all’esercizio della memoria
rinuncia e ti darò la lingua
Questo è salita con cui crescere
questo è triste facile discesa
C’è un luogo piccolo per dire
tempi infiniti genera l’ascolto
qualcosa sempre è là fuori
da desiderare
Le grandi cose cambiano solo grandi cose
le piccole sono le madri
Poesia è repertorio
di sentenze impotenti
tu prendile e fanne qualcosa
Ora che il tempo è fermo correndo.
Ora che il mare è triste ridendo.
Ora che posso pianger pensieri.
Ora che oggi già si fa ieri.
Lacrime e gocce,
sorrisi e passioni,
il tempo scorre tra mille illusioni;
alberi e rocce,
riso e tristezza,
timida approda una carezza.
Il tempo è andato, tutto è trascorso,
fragile e inutile il vecchio rimorso.
“Serena giornata, sole che bruci
di illusa speranza noi fragili luci.”
Ho
così tanto fumo addosso
e dentro di me
e negl’occhi
e intorno
da non vedere altro che
fumo
ed ha mani,
questo fumo,
che chiudono e soffocano
che stringono e toccano
che… inghiottono… tutto
Il tuo fiato
la tua bocca
il sapore delle tue labbra
le mie dita
sulla trama di pliche
in sottili circumnavigazioni
di sensazioni
che rincorro cieca
in sogni
di fumo
Il cielo
non era mai stato
così triste e ombrato
né saturo di questa coltre
grigia e fitta
di inquietudini
e stanche premesse
come ora
e, la morsa al cuore,
mai… così stretta…
Eppure sono sempre stato un lavoratore instancabile, nemmeno un giorno di malattia anche se forse il merito è del mio eccezionale sistema immunitario. Come descrivermi? Preciso, discreto, meticoloso, attento, mai chiesto nulla o portato lamentele, in tutti questi anni di onorato servizio ho solo pulito senza tregua, non risparmiando gli angoli più nascosti, anzi dando loro la priorità. In realtà, credimi, è difficile trovare chi come me nel lavoro mette l’anima. Faticavo tutta la notte per rincasare al mattino, non riesco a star fermo è proprio la mia indole, sono un tipo nervoso anche nei movimenti e chi m’incontra lo nota immediatamente. Ma sono sempre stato così, ci sono nato, e l’istinto non si può reprimere con successo. Nemmeno tu puoi farlo, ed è per questo che stai sorridendo. Però una cosa devo ammetterla: in quella casa non mancava cibo di ottima qualità, certo sono di bocca buona io, e potevi ingozzarti fino a scoppiare e ti assicuro che nemmeno in questo mi sono risparmiato. Che mangiate. Comunque, sto divagando. In quegli anni abitavo in una casa modesta, umida e umile praticamente attaccata al posto di lavoro, fattore che mi consentiva di sapere in ogni momento se ero solo oppure se il capo era nei paraggi. Purtroppo non avevamo mai avuto un rapporto amichevole io e lui, anzi in più di un’occasione era stato chiaro nel farmi capire in maniera a dir poco diretta che in realtà non mi voleva tra i piedi. Non apprezzava il mio contributo, mi trattava come un intruso, come una bestia. Così decisi di farmi vedere il meno possibile mentre con una cura maniacale tenevo pulita la sua immensa abitazione, non volevo infastidirlo e nemmeno perdere l’opportunità che questo lavoro mi forniva di “portare a casa la pagnotta”, come diceva lui. Ma per cambiare vita bastano trentasei secondi. Trentasei secondi fa mi trovavo tra il letto e il comodino, stavo per andare a riposare dopo aver lavorato tutta la notte. So che sono passati trentasei secondi perché ho sempre avuto un senso del tempo preciso, quasi un sentore, di sicuro una dote innata. Probabilmente mi stava aspettando, anzi ne sono sicuro. Un agguato. Ho visto la luce all’ultimo momento per una frazione di secondo (fidati se dico che è stata una frazione di secondo, ricordi il mio senso del tempo?), un colpo secco e mi sono ritrovato a pancia in su incapace di controllare i movimenti. Tremavo, tutto il corpo tremava e non riuscivo a fermarlo mentre lui rideva esultando. Voglio solo tornare a casa. – Ora ti annego – dice, io grido di lasciarmi stare ma sembra non sentirmi. Poi buio. Ho ricordi frammentati, acqua fredda, rumore, l’ultimo pezzo di pane, casa mia, cerco di aggrapparmi ma cado, sbatto dappertutto. Buio. Mi sveglio ancora a pancia in su, per fortuna sto galleggiando. O sono morto o sono salvo. Quel maledetto alla fine mi ha beccato. Inizio a nuotare, la direzione non mi interessa l’istinto mi dice che devo nuotare e come ho sempre fatto seguo lui. Infatti ha ragione anche questa volta perché poco dopo riesco a toccare una parete e inizio a risalire, trovo una crepa, mi c’infilo. Ho tempo per pensare. Maledetto. Ora capisco tutto. Inizia a essere tutto più chiaro. Mi ha buttato nel cesso e ha tirato l’acqua, così mi sono ritrovato semisvenuto a sbattere sulle pareti interne dei tubi di scarico per finire qui, nel bel mezzo del pozzo nero. Alla fine si è liberato di me. Di me, ma non di noi. Già, perché in questo momento dentro la presa elettrica che c’è fra il letto e il comodino, proprio quella grazie alla quale ogni notte carica il cellulare, ci sono almeno duecento uova pronte a schiudersi. E se quando saremo in giro a pulire la sua casa lui ci colpirà alle spalle per poi buttarci nel cesso, i superstiti avranno già deposto uova dentro le prese le crepe e gli angoli più nascosti della sua casa immensa. “Il mondo è di chi lo crea, non di chi lo distrugge”. Noi scarafaggi lo diciamo sempre.
La scelta fa di noi quel che siamo
E se la scelta non fosse nostra?
Questa è mia:
Mio il sasso immobile
Mia la luce veloce
Siamo sassi;
possiamo rotolare
ma anche stare
E poi la luce;
La luce è come un suono che batte sulle cose
Su di noi inermi o mobili
Nobili o affranti
Vili o affamati
Affannati e stanchi
Banchi o lavagne
Sassi o stelle
Sassi, comunque
Possiamo scivolare sulle cose come uno spirito
E mentre tutto rotola possiamo fermare un’immagine:
avvolgere la discesa
E, solo con lo sguardo luminoso, fermare il momento
fermarci nello statico senza tempo
E illuminare il volteggio
Come una danza
Come la speranza in una stanza
Come una lampadina
che riflette sul sasso la sua corsa
Il suo percorso
La sua storia
il suo sole personale
Il suo sole di vetro
Ho la tua foto davanti
ognuno colma la distanza
come può, come vuole
i tuoi occhi sempre rivolti a sinistra
scrutano l’orizzonte
nel tentativo di anticipare
il futuro, i sogni, i compagni complici.
Sulla tua destra una torre
forse simbolo di ciò che vorresti costruire
forse simbolo della tua nobiltà d’animo.
E intanto Lucio Battisti mi ricorda
il suono dolce della tua voce
quando socchiudi gli occhi
tutta concentrata ad indovinar canzoni
quando socchiudi gli occhi
immaginando nuovi cieli e nuovi amori.
Lo vedi?
Qui c’è ancora la tua forte presenza
e il solito carico di buona poesia.
Neruda dice:
“due amanti felici fanno un solo pane”.
Dimmelo tu, allora, adesso
cos’è che fanno
due amici come noi,
quando non si riesce più a vedere
il confine
tra mancarsi
e tenersi.
Mi sgocciolava una stella sulla spalla,
prima,
mentre mettevo benzina all’automatico
mentre cercavo di fare il simpatico
con te
facendo facce sceme al finestrino.
Anche sull’auto e a terra
c’erano spiattellate stelle morte.
E tu non le vedevi ma io sì
schiantarsi al suolo come fa un budino
e no, non te l’ho detto ma è così.
Poi siamo ripartiti
e tu ridevi forte
e ti chiedevi perché mai il destino
ti avesse dato in sorte
un padre che ha maniere a volte
più sciocche di quelle di un bambino.
Si sgretola e si piega su se stesso
senza neppure chiederci il permesso
ottuso e prepotente l’Universo.
Ma questo non ti deve spaventare.
Sono soltanto presupposti miei,
nulla di cui ti debba preoccupare.
E neanche io,
perché non sono solo,
ho te,
bambina mia che bimba più non sei
e ascolto il tuo respiro diramare
dalla tua stanza muta e confortevole
e appiccicarsi ai muri della mia
dove io sono ancora sveglio a scrivere.
E quanto è dolce sentire uscir le favole
dai sogni freschi del tuo sonno innocente
che mischio piano alla mia insonnia colpevole
in un bicchiere di luna e di cristallo
con un cucchiaio di veglia e di corallo.
Ho te
e non soltanto
questo mezzo talento saltimbanco,
un terzo occhio miope
e un’altra notte da passare in bianco
a zigzagare tra un pensiero e l’altro
a rivangare in un passato lurido.
Per questo forse adesso dormirò:
perché io ho te
e non solo il mio ego da cretino,
questa esistenza che m’han dato a credito
con tassi d’interesse da strozzino,
parole che si inseguono su un foglio,
antiche colpe che non mi abbandonano
ma a illuminarmi il cammino
io so che ho te,
il lume caldo e fioco
dell’infinito bene che ti voglio
e tu lo sai,
lo sai che non è poco.
E piano piano cado addormentato
le stelle che si spappan sul selciato,
il cosmo che si piega e che s’inclina,
dormi tesoro, che è quasi mattina.
