Quando inclinando il capo
mi sorridi e mi scruti
con i ruscelli agli angoli degli occhi
la mia vita
si inonda di luce
Sei il colore dei miei giorni
la rugiada sui miei petali
le ali dei miei pensieri
la spinta sull’altalena
E come una bimba
il mio ritorno da te
è un dolce atterraggio
sul prato della gioia
Sei un’opera d’arte
una poesia incompiuta
che rimane col naso in su
Ena
questo
(noi prima e pronti)
Dva
incontro di questo e di questo
(noi eravamo qui)
Tri
nascita del plurale dal duale
(noi abbiamo creato e fuso e moltiplicato)
Katvar
costruzione del quadrato
(noi abbiamo dato frutti)
Pantshan
tutta una mano che ha costruito
(noi ne abbiamo messa una ciascuno)
Shash
conquista dell’essere due volte plurali
(noi abbiamo vinto)
Saptan
indice di una seconda mano che segue e che conta
(noi siamo qui
continuo futuro)
Nel bisbiglio del sole,
lì, seduto,
guardando la vita giocare,
a domandarsi
dove sia andato tutto il resto di essa.
Intuizione di fertilità e
di esistenza
che si trasmette
nella normalità della continuazione
mentre vivida la percezione
che si scompaia sempre più
fino a diventare eterni
nei ricordi di giovani vite
che oggi,
abbarbicate al sole,
godono del suo diletto.
Ancora non sfiorano
idee e domande,
ancora non sanno,
ancora
è tutto per loro.
Rivolgiti al tuo medico:
digli che hai visto te stessa
libera e nuda, camminare sui cocci
infranti di una stagione sconfitta e
vestita,
ridendo del tuo stesso sangue.
Rivolgiti al tuo medico:
digli che hai visto i tuoi figli
cavalcare le loro stesse anime
come lanciati contro gli schermi
di una nuova Apocalisse e
che li hai visti distruggere costruendo
una nuova Apocalisse.
Rivolgiti al tuo medico:
digli che hai visto un uomo
corteggiarti in eterno
con la spada dell’arte e una
rosa rossa in bocca, opponendosi
a un mondo che ti vorrebbe
pornografica e schiava: pronografica.
Rivolgiti al tuo medico e
gridagli in faccia
che hai cambiato medico e
che ora tu sei medicina per lui,
che il sistema di riferimento è cambiato
e lo hai cambiato tu.
Trasformiamo questo punto in una virgola
questo muro in uno steccato
di quelli che si possono scavalcare
con un salto.
Sciogliamo il ghiaccio
torniamo a far scorrere il sangue
nelle arterie che ci uniscono.
È ormai da troppo tempo
che ci accontentiamo
di questo scampolo di vita
e viviamo dietro barriere
innalzate per eclissarci al cuore dell’altro.
Ecco la mia mano
tendi anche la tua
e torniamo a stringerci
in un lungo abbraccio.
> Fuori:
luce spenta, nuvole bianche
Dentro:
forza travolgente, rinnovata speranza
Tu:
seduta al tavolo,
impegnata in una routine
che mancava da tempo
Lui:
come sempre sta zitto
> Che bello vedere il sorriso di tua figlia:
vorresti urlare,
stavolta di gioia
Quanto ha sofferto…
quanto hai sofferto…
adesso ti godi
quella sua leggerezza
così nuova, così imprevista
ti chiedi se qualcuno
saprà risarcirti
di quegli anni persi
di quegli anni
colmi di problemi e incomunicabilità
cominci a fidarti,
forse come non hai fatto mai
ora sai che la vita
non ha traiettorie prevedibili:
proprio quando non te l’aspetti,
ti lascia addosso
il profumo della rinascita.
Sono qui
Ad ascoltare
Ronzii, fruscii e voli di farfalle
Dispersi nel silenzio.
Sono qui
In questo luogo di pace
Dove nessuno mi è estraneo
E dove tu
Riposi
Accanto alla tua amica di sempre.
Cerco un modo per proseguire.
Tutto intorno
Mi suggerisce di rallentare:
La terra, gli alberi, i fiori
Rispettano i loro tempi.
Non ho più fretta di raggiungerti,
Sei con me
Sorgente viva
Unione intima
Continuità.
All’improvviso
La tua voce
Scaturisce
Da un punto ignoto.
È priva di parole
È suono
Dolce e struggente
Come un vento
Tra le margherite.
In quei giorni il cielo e la terra si tingevano di bianco. La neve cadeva lieve sulle strade e le case tutte intorno. Nel suo primo giorno di libertà, dopo la prigionia in quelle gelide terre tedesche, Sibilla camminava per via, sola e pensosa, appena sfiorata dagli sguardi curiosi dei passanti. Camminò, fino a ritrovarsi fuori dalle mura. Camminò a lungo. Tremante di freddo sedette sulla neve, ai piedi di una quercia, ai limiti della foresta. Subito l’assalirono i ricordi: la Sicilia chiara nel sole e la sua magnifica residenza di Palermo. Dalle sue stanze un tempo lo sguardo poteva arrivare fino al mare, da un lato vedeva i lussureggianti giardini della reggia, dall’altro la capitale, echeggiante di favelle normanne, latine, greche ed arabe, come una Babilonia d’Occidente. Scacciò via quelle visioni dalla mente ed ecco, le sovvenne ancora una volta il faccino terrorizzato di suo figlio Guglielmo, di nove anni, quella mattina in cui il barbaro –era il 28 dicembre 1194- ordinò l’arresto loro e dei loro più fidi sostenitori. Ma il piccolo Guglielmo non c’era più. Appena adolescente, accecato e castrato per ordine imperiale, aveva finito i suoi giorni in un remoto carcere, lui che era l’erede del trono siciliano. Era morto così, lontano dall’ultimo conforto che poteva donargli sua madre. In solitudine e nel terrore il ragazzo aveva reso l’anima al Creatore. Certo, ai figli sconfitti dei grandi monarchi tocca il destino di Astianatte, il principino troiano precipitato per mano del nemico dall’alto dalle mura di Troia. Sibilla si coprì gli occhi arrossati con le mani, ma non le riusciva più di piangere. Era approdata ormai a regioni estreme dell’angoscia, aride di lacrime, dove il dolore si fa più lancinante. Si alzò e riprese il cammino, prigioniera dei ricordi, sotto la neve sempre più lieve. Silenzio intorno. Nessuno ha più rivisto la regina siciliana. Ahi l’alterna fortuna! È proprio come cantano quei novizi tedeschi, che dicono di quel trono sotto cui è scritto: Ecuba Regina!
La natura ha il nome del silenzio.
Quelle voci non sono altro che finzione.
Cercavo la verità nei loro volti, ma la verità non vuole essere trovata.
A lungo li ho guardati
e mi son chiesto:
“Mi vedranno?”
Ma anche se mi vedessero,
non mi riconoscerebbero
perché la verità,
quella vera,
è che non mi hanno mai conosciuto.
Chissà se un giorno
qualcuno
addentrandosi nel mio sguardo
si accorgerà di essere sempre stato me.
Non c’era una lettera
Trovata per caso
Né una parola
Neanche un frainteso
Tutto era un assurdo
Gioco sospeso
Senza rimandi
Di un tempo discusso
Inutile passato sommesso
Ora sento un dolore
Si affaccia sconnesso
Chiudila tu..
Questa rima del cazzo
Ti penso lo stesso
Quel gatto di plastica mi fissa. Ha baffi neri che luccicano nel buio e il tempo nel petto. Tic tac tic tac tiic taac TiC tAC…
Mi ucciderà quello che ha nel petto, nell’oblio mi porterà ma tantoci sono GIà statO. Il mio orecchioDEstro è sempre lì, è s3mpr3 antenna:: <<vieni qui a giocare/morire>>,
<<casa/tomba tua non è lì, ma nel cuore del cielo/terra>>, <<ti suggeriamo di lasciare/uccidere te stesso>>. Non ceredò a lroo rirmarò licudo e svieglo e adnrò nlel’obilo
sloo qaundo imzpazirò.
Sono sano sonO SanO SONO SANO SONO SANO SoNo SaNos onOsan OsOnOSAN o sonOSANOSONOSAn o sonosANOsonos anoSONOsaNossonno sSsSano onoS SSS sannosanodannosanno DANosino spingono donodannodannODono DaNnodoni
sonodoniSoniDio sonODisdiOson sanoDiOsoni SoNoDio
S-O-N-O-B-B-L-I-OGAtto
Voglio entrare in te
come bambina
perché gli adulti
con mani sporche
hanno lasciato segni sulle pareti.
Con mani distratte
hanno graffiato la vernice
dove avevi dipinto il Sole.
Voglio invitarti a giocare
perché, le troppe ore senza
ti stancano di più.
Voglio mangiare un gelato per due
due gusti, io panna, tu cioccolato,
per farti capire che nella diversità
ho trovato la dolcezza
e nella similitudine, l’amore.
Voglio entrare bambina
per non fingere di essere grande
per posare un attimo la ragione
mi pesa,
sempre con questo senso di gravità.
Voglio godermi la pazzia di essere invincibile.
Di poterti far ridere
di poterti far fare un salto nel mio cuore
e vederti costruire un castello,
decidere di abbandonare il fuori
per stare dentro con me,
dentro una favola.
Dove il Sole non tramonta.
