Eravamo preparati a questo?
No, figlio, non eravamo preparati
Nessuno lo è mai.
Sarà un’altra pagina di storia
Da aggiungere a volumi futuri
Fatti di pagine e pagine.
Pagine che parlano di persone
Come noi
Che non erano preparate,
Ma che quella storia
L’hanno scritta
Col sangue, col dolore,
Con la fame, con la paura,
Con il coraggio, con la morte.
Ma tu guarda attentamente,
Soffermati ad immaginare.
Tra le righe, vedrai
Cuori pieni d’amore,
Cinguettii,
Seni pieni di latte,
Profumo di pane sfornato,
Cose buffe per le quali ridere,
Abbracci e baci
Tramonti
Fiori e carezze,
Specchi dentro i quali compiacersi,
Arcobaleni
Nonni e nipoti,
Sere d’estate
E favole, raccontate da un padre
Alla figlia, fino a quando,
I suoi occhi si saranno chiusi.
Guarda bene figlio
Dentro quelle pagine,
Ci sono vite vissute
Nel bene e nel male.
Nessuno di noi era preparato,
Stiamo solo vivendo
La nostra pagina di storia.
All’improvviso
Il tuo mondo si è sciolto
Come neve al sole
E hai dovuto costruirtene
Un altro, pazientemente.
Ora sei una giovane pianta
Racchiusa in una serra.
Tornerà il tempo in cui
Ti farai scuotere dal vento
Bagnare dalla pioggia
Riscaldare dal sole.
Il nostro stare a casa,
Non è nulla
Se non un vivere
Il nostro tempo
Il nostro spazio
Il noi stessi.
Prova a trarne insegnamento.
Io ci sono
Con il mio sguardo
E il mio abbraccio
Lungo una vita.
Siamo ancora distratti come tempo fa
Intoccabili disarmati perseveranti
Io e te i nostri spazi di inadeguatezza
Message in a bottle, Reggatta de blanc
Accumulatore seriale di veleno
Ho smesso di dormire di bere di fumare
Alle tre spalanco gli occhi e mi spengo piano piano
Virus Jet Lag vedo la Highway a bordo di una Shelby
Un deserto bianco qui i giorni non passano,
Si raggiungono.
Oggi e domani sono solo un tempo in cui dormirci su avevamo fretta
Adesso abbiamo solo vuoti come bolle di metano pronti a esplodere.
No, grazie. Non fumo. Ho acceso una Marlboro solo per contraddirmi un’altra volta.
Tu che fai?
Quello che ho sempre cercato
è solo quel verde riflesso,
adesso lo so.
Cerco i tuoi occhi,
quella luce che avevi,
quel lampo di orgoglio
che avevi quando mi guardavi:
vaso prezioso, raro arabesco.
Il futuro: una scheggia
nelle mie mani,
la vita: una sicura
aspettativa.
Mai più nessuno
mi ha così vista,
ed ora brancolo
cercando l’impossibile,
quelle pupille carezzevoli e
quello sguardo fiero,
l’amore più accogliente,
l’osmosi di un affetto,
complicità tenace
malgrado i toni alti,
riferimento certo,
confronti mai banali.
Ma
da quando ti ho lasciato andare
sono più serena
sei ancora nei miei pensieri,
direzione delle mie decisioni,
confronto dei miei dubbi,
amore e tenerezza
conforto e ribellione.
Semplicemente
ho detto al dolore
che era giunto il momento
di andar via
Perché volevo ancora gioire
perché volevo ancora godere
e il dolore egoista
non me lo permetteva.
Cerchi verità
trovi parole
mentre gli uccelli
continuano a contrastare
la forza di gravità
in un cielo
che accoglie i nostri quesiti
clemente e comprensivo
Cerchi parole
trovi verità
senza risposte
le tue domande
continuano a vivere
moltiplicandosi
e generando riflessi
Solo il cielo sa
aprire lo spazio
a chi ha la forza
di agitare le sue ali
In mezzo alla
landa più conquistata e
più bruciata del mondo
tra minacce spaventose e ridicole
Ho colto un fiore d’eternità
Ora viviamo
spostando l’amore
Chiamati
siamo giunti
non sta più dove stava
Sottratti al tempo
siamo lingua d’attraversamento
fortuna
Tanto manca nulla manca
Chi salva il tuo cuore
ti ha salvato tutto intero
Ho chiesto al silenzio di raccontarmi la verità.
Stanno abbassando una serranda da qualche parte.
L’ombra di un corvo corre in cortile, dentro un rettangolo che il sole ha rubato alle ombre.
Foglie nuove di un vecchio tiglio.
Il fumo della sigaretta mi dice che l’aria si muove, dice “Ti ammalerai”, rispondo che la peggior malattia è non aver vissuto.
Qualcuno batte con un martello, mi alzo dalla sedia, lo cerco con lo sguardo, non lo trovo.
Le sue mani sono da qualche parte, la parte che mi spetta si riduce al suono che stanno creando.
Sono fortunato, a destra e sinistra mi stringe l’abbraccio dei palazzi, ma davanti ho gli alberi, dietro di loro c’è il fiume che amo.
La signora da cui compriamo il pane è laggiù, oggi la panetteria è chiusa, sta stendendo grembiuli rossi.
Ne conto undici.
Sono troppi per una sola persona, probabilmente li lava anche per le due ragazze che lavorano con lei.
Sorrido.
Lontano da qui le ruote di una macchina diventano la voce della strada, o forse è la strada a dar loro una voce.
Sono vivo.
Ho chiesto al silenzio di dirmi la verità.
Ho sentito che la sua essenza è il rumore, quel rumore mutato nelle parole che stai leggendo.
Probabilmente in silenzio.
Lo trovo stupendo.
In questo preciso istante sono con te, anche se le distanze raccontano un’altra storia.
In questi giorni ho capito meglio qualcosa di me.
Ad esempio, perché normalmente non mi fermo mai.
Sempre sopra le mie forze,
oltre le mie energie.
Sempre pronta ad
ascoltare tutti,
accontentare tutti,
fare,
andare,
scendere,
salire,
portare,
prendere…
E sorridere,
sorridere sempre!
Magari gli occhi piovono emozioni,
ma il sorriso non può mancare mai.
Ecco, non posso permettermi pause.
Sì perché, quando accade, come forzatamente in questo momento,
vengo sopraffatta dalla tristezza e dalla malinconia.
Non che normalmente non pensi o rifletta,
quello lo faccio sempre,
ma l’azione e il movimento mi portano a
contenere questa voragine senza fine che racchiudo e contengo.
Ecco a cosa devo stare attenta:
a non essere inghiottita.
Da me.
Sono stato ingannato
qualcuno mi ha sorpreso
ho perso, e qualche volta
ho vinto
ma non si sa mai
quale partita giochiamo
lungo le strade del quotidiano.
Tutti sono bravi a nascondere
qualcosa, io no
mi si vedono i sentimenti
e fatico a mostrar rabbia,
eppure non mi dispiace:
non ne ho quasi mai voglia.
Quello che mi fa felice
è sentire il rumore
della chiave che gira,
e la porta che si apre.
Sei tu
che mi lasci vedere
la luce
sei tu
che mi regali sorrisi
e un nuovo senso
per queste vecchie scarpe consumate.
Non so bene dove vado
ma so che mi piace
il percorso che porta
a te.
Ormai è banale
dirti che ti amo:
so che senza di te
continuerei a vivere.
Certamente, lo farei
respirando di meno,
con qualche nuvola
sopra la testa,
e con le gambe
molto più corte.
Rimpiango
le istantanee mai scattate.
Quel viso
quasi non lo ricordo più.
Ma ricordo il calore
i sacrifici
la dedizione.
Proteggimi dall’alto.
Guidami come fai sempre
con la luce dell’amore.
Finché mi starai accanto
so che andrà tutto bene.
L’umanità in letargo.
Ha rallentato i battiti.
Le funzioni.
Respira con il fiatone.
Rigurgita acido.
Vomita veleno.
Dorme le ore
allo spuntare dell’alba.
Di notte sta sveglia.
Pensa.
Accartoccia fogli
setaccia progetti.
Sogna
per non morire.
Ama
per vivere.
Parla
per esistere.
Abbraccia l’aria
che sembra in fuga
ma nasconde dentro il mondo.
In mutazione
aspettiamo di vedere
la bestia
muovere i passi
fuori dalla tana.
Di più:
senza parole.
Alanis si svegliò di buon mattino; aveva davanti una giornata molto intensa. Si tirò su in fretta, fece colazione, indossò tuta e guanti, e come tutte le mattine aprì il collegamento.
Aveva fatto di nuovo quel sogno, stavolta nitido e potente.
Ed ogni volta che lo faceva al risveglio si sentiva strana… come se qualcosa mancasse.
Come se tutto fosse sbagliato.
Una sottile lama di luce filtrava dalla finestra, disegnando piccoli arabeschi sul lucido ripiano del tavolo.
Il silenzio era intorno a lei, come una patina sottile che permeava ogni cosa.
Il silenzio era dentro di lei.
Alanis era un chirurgo, ed era molto brava nel suo lavoro, la migliore.
Quella mattina erano in programma diverse visite, ed alle undici aveva un intervento molto delicato.
Concentrata e solerte Alanis si occupava dei suoi pazienti, spiegando loro con voce chiara e linguaggio semplice e comprensibile concetti difficili e tecnicismi, rendendoli comprensibili e alla portata di qualunque interlocutore.
Le ore passavano veloci, alle undici puntuale Alanis si ritrovò con l’équipe medica che l’avrebbe supportata nel delicato intervento che doveva compiere.
Ed ecco che l’intervento ebbe inizio: fortunatamente l’équipe era molto affiatata.
Le sue mani si muovevano veloci e precise, il volto concentrato, il ronzio dei computer l’unico suono a rompere il silenzio.
Era ormai l’una quando terminarono. Tutto bene, fortunatamente.
Alanis si sfilò i guanti e li appoggiò sul ripiano.
Con le dita affusolate si massaggiò le tempie.
Il silenzio era intorno a lei, dentro di lei.
Il silenzio gridava, il silenzio le graffiava l’anima.
Ora di pranzo.
Uno spuntino veloce, aveva poco tempo e tante cose da fare.
Pillola gialla o pillola verde?
Mise su un po’ di musica, perché non sopportava più quel silenzio.
Quel silenzio ostile che permeava ogni cosa.
Quel silenzio che affondava le sue lame nella trama dell’ esistenza.
Giorni, mesi, anni.
Lo scorrere del tempo, sempre uguale.
La solitudine aggrappata alle sue viscere come un cancro.
Meglio non pensare, meglio non essere.
Pillola rossa o pillola bianca?
La giornata continuava a scorrere via.
Appuntamenti, incontri, discorsi… che differenza poteva mai fare?
Eppure…
Eppure, pensava a volte Alanis, deve esserci stato un tempo in cui la vita, il mondo, ogni cosa era differente.
Un tempo in cui potevi uscire all’aria aperta per le strade, sentire il sole sulla pelle. Incontrare, davvero, altre persone, poterle toccare, sentirne l’odore, senza limitazioni, senza mediazioni.
Pensieri pericolosi.
Pensieri proibiti.
Pillola rosa o pillola oro?
Rosa.
Prima che quella piccola spia blu inizi a lampeggiare.
Prima che la Sanit security prema quel dannato pulsante e la scolleghi dal mondo.
Cena con Damien (suo figlio, le dicono)…
Nato da una provetta, cresciuto in una teca. Come tutti, da sempre… o no?
Quel figlio mai toccato. Non realmente, almeno.
Non senza la mediazione di quel dannato guanto.
Alanis prese la sua pillola. Quella rosa, sì…
Quella rosa.
