LibEreria

Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Ultima chiamata, per le Arti, alla Rivoluzione.

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Sala Lettura -aprile 2019

Era un mattino qualunque quando ho saputo.
Il sole sbirciava dalle cime delle colline in lontananza, come al solito. Squarci di luce tingevano tutto d’arancio acceso. Lo spicchio della luna, appena visibile, indugiava ancora un po’ nel cielo mattutino. Presto i cittadini ed i mezzi avrebbero ripreso la loro vita quotidiana.
Era un mattino qualunque di una primavera appena iniziata.
Ed il mondo andava avanti come se non sentisse il mio pianto. Ed il tempo, dicono che sia la cura di tutto. Ma che ne sanno che non era una storia qualunque…?
Era una stagione qualunque quando mi chiesi se -potendo tornare indietro- avessi potuto cambiare qualcosa. Mi dissi che se avessi potuto, avrei scelto di nuovo una vita con te. Perché per una volta mi era capitato di incontrare la felicità. Il privilegio di conoscere il mistero della vita.
Ma tutto è destinato a scomparire: Tutto cambierà e tu cambierai seguendo i mutamenti. Ti troverai con un vuoto abissale che chissà se il tempo riuscirà a colmare.
Era un giorno qualunque, ma forse un giorno una nuova primavera porterà con sé il sole.
E il sole con i suoi primi raggi sveglierà i germogli sepolti nel buio. Spunteranno le gemme sugli alberi ed i prati si copriranno di margherite.
È di nuovo primavera.
Il vento fresco soffia: danzano le foglie nuove degli aceri. Con occhi bagnati li guardo e mi chiedo:
Che cos’è la primavera se non ci sei più?

Succedevo in profondità
nello scolo di attese
quando della pietra
ne ho visto le vene
Annodate le parole
come arcane trame taciute
nascoste nel giunco della gola
lo sguardo volgevo
all’altrove
sciabordio roboante
il mare assordava i pensieri

Erba verde, tenera, tricorde,
dolce nella memoria mi ricorda
i prati di Camarina in primavera,
nel tempo che a tepore inclina,
nell’ora che l’amore chiama…

Ti cercherò in un’altra vita,
io foglia e tu vento,
io barca e tu onda,
mi spingerai, mi cullerai,
mi coccolerai.
Ti cercherò in un’altra vita
perché in questa non mi basti,
tu falco e io cielo,
tu montagna e io sorgente
e io ti accoglierò, ti sosterrò
ti disseterò.
Ti cercherò ancora e poi di nuovo
pioggia sopra i solchi,
sole sopra i semi,
ape sopra i fiori.
Ti cercherò e sarò più maturo,
ti riconoscerò quando
mi guarderai,
due anime sole
sono uniche tra loro.


Passeggiando fra

L’intelligenza delle case,

Le intuizioni sono fiori e

Tu sei vera

Come prima che l’Europa

Scomparisse e un soldo ci vendesse.

Persi nell’intelligenza

Di una rambla, eri bella

Davvero vestita di Gaudì.

Camminai da solo nelle

Campagne d’Essex

Coltivando Babilonie che

Raccoglievo a Londra.

Perforammo il bianco d’Austria e a Monaco

Era freddo come a Monaco dev’essere,

Il problema era cenare.

A Venezia fingemmo

La bellezza di Venezia,

Anche lì era capodanno.

Di Parigi ricordo solamente dei fantasmi,

I miei e quelli che trovai,

Ero acerbo come un

Frutto di speranza.

Nell’andaluso giallo

Ero a mio agio fra

Zingari e poeti, tu

Brillavi di una tristezza

Allegra.

A Lisbona fondammo

Inconsapevoli una Nazione nostra,

sostenuto da Pessoa

Immaginavo ritorni.

Passeggiando fra

L’intelligenza delle case,

Le intuizioni come i fiori,

Torneremo sempre qui,

Come prima che l’Europa

Scomparisse e un soldo

Ci comprasse.

Fucili, bombe
guerre
odio e rancore
viva il vincitore
combattere, per deridere
per sopraffare
per scavalcare:
gettate le armi
gente vuota.
Fate largo, arriva
un’atomica rivoluzione
arrivano i poeti
con i loro nobili versi
a colorare questo grigio
a restaurare il paesaggio
a restituirci l’aria.
Ora la strada è libera.
I bambini possono giocare
e i cuori rinascere
al grido: la vita è bella.
E luce sia.

Scendendo la scaletta del velivolo, cercò subito di richiamare a sé i profumi di quest’isola.
Il leggero vento di maestrale glieli stava porgendo e si sentì accolta.
Per un po’ rimase in silenzio, ne sentì la necessità, per poter riabbracciare la memoria.
Ogni angolo, ogni spicchio di cielo e i suoni, ritornarono trasportati dal volo di un falco.
Stava ridisegnando il suo passato.
Nel giardino di casa, la vecchia gatta rossa le venne incontro, la pianta di vite, aggrappata al filo si
era riempita di verdi piccole foglie, sotto al mandorlo, che oramai era già sfiorito, un gruppo di iris
bianchi ritti verso i rami.
L’albero di limoni all’ingresso, si stagliava su quel cielo ancora più blu.
Senza violarli, aprì gli armadi dei figli, che ora percorrono la loro vita altrove, e provò un piacere
immenso, nel consueto loro disordine, indossare un vecchio jeans stinto e una felpa un po’ lacerata
sul gomito.
Sentirsi madre da un’altra prospettiva, che raccoglie e indossa i panni dei figli, per avvicinarsi alle
loro lontananze.
È già stato detto il concesso, ora rimane tutto quello che le parole non possono tradurre, non sa
cosa sia l’infinito, ma le sembrava di partecipare ai dolci mutamenti, accogliendoli come il cielo
accoglie le sue Stelle… e sorrise.


Non so chi tu fossi
che infanzia abbia avuto
un seno materno
ti avrà mai consolato?
Due mani forti
ti avranno mai rimboccato le coperte?
Avrai avuto un amico,
un amore?
Non so che strada
hai percorso
per arrivare li
dove solo le fiamme
ti hanno trovato.
Lì in quel pezzo di terra
abbandonato
fra canne e sterpaglie
dove solo la morte
ti ha trovato.
Tutto è arso.
Ed ora, solo ora
tanti uomini
sono lì per te.
Uomini in divisa
uomini in tuta bianca
uomini con le macchine fotografiche.
Te ne sei andato da invisibile
in silenzio
o forse le tue grida
il vento le ha portate via
intorno a te
la giostra gira
come sempre
nessuno è sceso
per quel tuo ultimo giro
ora tutto è cenere
ed io non so chi tu fossi.


Ricordi?

Mi parlavi di ali

e io ti chiedevo

“è possibile?”

 

È possibile che queste ali

riescano a sfidare il vento?

A rompere catene millenarie,

ad arrivare fino a luoghi inesplorati?

 

“Tutto è possibile” mi ripetevi,

“se credi nella potenza delle parole”

 

Sposai il tuo cammino

a piedi nudi percorsi la tua strada

senza paura di ferirmi

sposai le tue amiche parole

 

Con la meraviglia negli occhi

osservammo arrivare verso di noi

creature aliene portatrici

di nuove antiche memorie

il tuo richiamo le conduceva a noi

 

Sposai nuovi sogni

intrisi di domani

e un cielo nuovo

diventò la nostra casa

 

L’albatros ha aperto le sue ali

il viaggio è appena cominciato

ma ha già una lunga storia

fatta di versi, di sguardi, di intrecci

tra diversi sguardi intrecciati

 

Fidarsi è bene

Credere è vita

In un’alba
una musica ha voluto parlare
ha detto che nessuno è straniero
e ha fatto stranieri tutti
quelli che non ci avevano pensato

Locomotivano ragioni e
l’arco è binario vivo
mentre noi accampiamo
pretese fuori paese
con fruenti sensazioni solleticanti
tra tutti gli stupori di scelte invalidanti
Dal finestrino lo scenario
in continuo mutamento
mostra le scelte
di una vita in movimento
Una domanda sul futuro
passa e si presenta
Piacere scusi,
sono in aspettativa
con la vita
ho per rendita l’annata
di questa strada
che svolta all’improvviso
e mi rende la vita dannata
come un vortice che ti imprigiona nella sua stretta
mettendoci il tempo e la solitudine di una risposta
che nulla muta ma tutto sposta
Tu chiamala straccio la mia bandiera, che solo lei non ha colori
ma è fatta di mille pezzi macchiati di bagliori
Viaggiamo su questi binari paralleli
ma all’infinito lo spazio e il tempo si contorce
la vita, la bandiera o la domanda come falce?
Siamo in troppi per fare questa scelta
Ognuno con la sua sorte da giocare
e la chiave da non far scappare
con una vecchia valigia di ricordi e stracci di vita
La risposta arriva quando ogni domanda è finita
e il silenzio torna sorgente
amico fidato e antico dove l’anima non mente
il luogo sacro del mio mentre.
Il lungo ricordo del poi
dove non muta il nostro essere noi

Buongiorno è un cielo grigio,
Forse il cielo di Roma?
O è la tua giornata o la tua testa, è
Il tuo cuore?
Un problema, una domanda:
Il tuo colore.
Buongiorno è una prospettiva, un sogno,
Un nulla, un dubbio, è l’ansia:
Un foglio pronto ad accogliere
Una fobia, un pensiero vuoto.
Buongiorno è un ricordo, un sentimento
Che sta sfumando,
Poi arriva il bimbo che dice: “Il grigio!”.
Buongiorno è l’aria rarefatta nella testa,
Un muro,
È gennaio… No, è inverno.
È inspiegabile buongiorno,
Un dilemma,
Quando piove dentro o
Quando sei ubriaco.
Buongiorno è
La distesa infinita dei tuoi pensieri,
I capelli di Szymborska,
La stanza di mia mamma quando fuma.
Buongiorno a volte è il nulla
Colorato di grigio,
Un’aspettativa, ma
Il grigio è una realtà insondabile che
Non vuoi accettare.
Buongiorno è anche assenza di colore,
Distesa piatta sena emozioni,
Calma apparente e dietro
Neutra e accogliente.
Buongiorno è tutto e
Il contrario di tutto, è un bluff,
In verità vi dico:
È la mancanza dell’oggetto del desiderio suo,
Nuvole riflesse in una pozzanghera.
Buongiorno è la stanchezza del mio spirito,
Attesa d’ispirazione.
Buongiorno è un muro sporco,
Scissione degli ioni,
Ciò che vedi dentro le palpebre chiuse,
È il sole nascosto, ermetico:
Mai due visioni identiche,
Buongiorno è l’opera tutta bianca
Di quel pittore.

In autostrada nessuno. La corro con la consapevolezza che è l’unico indicatore in grado di misurare la
distanza tra me e i miei ultimi dieci anni.
Uno sporco pezzo sanremese riempie lo spazio intorno a me.
In questi anni ero diventato l’ombra salda di quella sagoma spavalda di ragazzino che nel suo metro e
ottantatrè conteneva tutto il sapere del mondo e che nei fine settimana di febbraio parlava di musica e
Sanremo con Paolo e Alfredo. Altre due sagome. Fini conoscitori di musica e cinema, loro sì padroni di una
cultura sconfinata. Non mi è più capitato di trovarmi appresso due uomini interessati alla mia cultura
musicale e ad infilarsi nel mio letto come Paolo e Alfredo.
Sanremo cambia interprete. Pulisce lo sporco nell’aria. Dio, questa canzone. La respiro e riempie i miei
pensieri come pagine a quadretti in un quaderno all’incontrario.
Tre anni e mezzo fa l’unica stronza della mia vita era mia sorella. Poi arrivò Martina.
Mi accendo una sigaretta e ingoio fumo finchè mi bruciano i polmoni. E’ l’unico modo di ricordarla per farmi
meno male.
Martina fu la breccia sulla linea Maginot che congiungeva da pochi mesi me e Francesca. Dichiarazione di
guerra improvvisa.
Indifferenti agli altri ci scoprimmo con il desiderio di quattordicenni, graffi morsi e tenerezze. Nessun
rispetto per Francesca, ammesso che poi lo meritasse. Nessun rispetto per l’uomo di Martina, che la
trascurava ubriaco in qualche bar.
Il mondo schizzava assassino attorno alla mia testa e la mia testa rotolava senza controllo su sentieri di
bugie. Le sue. Le mie. Litigavamo illudendoci di stare insieme.
Poi il crac. Martina se ne andò. Davanti a un caffè pessimo. Piangeva. Se ne andò per lei.
Deglutisco e faccio ancora un tiro da una sigaretta che forse ha da darmi ancora un po’ del suo sapore.
Tre anni fa gli Stadio esultavano a Sanremo e Martina ascoltava insieme a Giada, sua figlia, la canzone.
Questa. Un giorno avrebbe voluto parlarle di me, con quelle stesse parole.
Fanculo anche la sigaretta, vorrei sapere se l’ha fatto.
“Un giorno ti dirò
Che ho rinunciato agli occhi suoi per te.
E tu non capirai e mi chiederai
Perché?”

Con te parlo…
Girati!
Guardami!
Vuoi che strappo con le unghie
la mia pelle nera?
Vuoi?
Così vedi
che il mio sangue è rosso
come il tuo?
Vuoi farmi un’autopsia
Lacerarmi con lo sguardo
per accontentare la tua
malata curiosità?
Ma cosa vuoi da me?
E chi ti ha messo sopra di me?
Guarda…
abbiamo la stessa scintilla di rabbia
negli occhi
abbiamo la stessa smorfia di precari
che lottano uno contro l’altro.
Siamo uguali.
Nel bene e nel male.
Non cercare di salire altri gradini.
Il nostro posto è qui.
Ora ed adesso.
E se non mi credi
va bene, smembrami.
Disfami.
Come un giocattolo nelle mani di un bambino.
Ma sai cosa fa un bambino
quando distrugge il suo gioco?
Piange.
Ed è quello che farai tu
quando guardando i miei pezzi rotti
riconoscerai te stesso!

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