In uscita

Libri in uscita

«Ogni tanto scrivo cose da vecchi, dedicate ai vecchi, storie vecchie perché naturalmente io sono vecchio ma con una differenza, anzi con una domanda, si può essere vecchi rimanendo con il cuore e con la mente giovani?»

«Non so, non lo so.

Forse, forse c’è un modo per capire meglio e di più.

Adesso rileggerò tutto ad alta voce.

Mi sforzerò di ascoltare bene per giudicare non tanto la forma quanto i concetti.

Ho bisogno di sapere se ero malato, se sono guarito, se sto bene, se sto bene per me stesso.

Se posso stare bene insieme agli altri.

Avanti.

Ecco, non debbo leggere coricato, potrei compiacermi.

Sto seduto, vigile, attento.

Vediamo.»

Ti tendo una mano
me la riporti più forte

Insieme
è il nome del solo campo
in cui dividere
è moltiplicare 

«Spaccano le gocce

La lamiera

Srotolano la fibra

Separata dal senso

Di qualcosa

Che non c’è

Infinito cadere

Nel buco di

Una piattaforma

Lasciata lì a germogliare

Ma ha bucato la

Terra

La fessura

Si insinua nel

Ventre dello

Spazio vuoto

Vuoto»

“Quando osserviamo con l’Intento di andare oltre la fisicità, scopriamo mondi di Potere, Vediamo attraverso la nebbia.”

La padronanza dell’Intento alla forza primordiale dell’universo, riesce ad allineare al meglio le proprie possibilità attraverso l’azione, in esso ritroviamo Potere e Magia.

Gli Sciamani Toltechi videro chiaramente l’azione creatrice dell’Intento, capirono che potevano agganciare questa forza. PeR farlo dovevano ricercare l’impeccabilità in ogni azione e rendersi quindi disponibili al Tocco dell’Infinito.

Quando si raggiunge la padronanza dell’Intento, il Potere si fonde con quello dell’Infinito, pertanto ogni azione che si compirà sarà un’azione di Intento.

Quando ci si allinea a questa forza, senza soccombere agli impulsi dell’importanza personale, si agisce guidati dall’Infinito stesso, che trascende di gran lunga la forma umana.

L’azione stessa di dipingere e scrivere l’esperienza della mia Ricapitolazione Sciamanica Tolteca, è stata la forza che ho trovato allineandomi al Potere dell’infinito, ubbidendo alle leggi dell’Intento, l’energia che governa ogni manifestazione visibile e invisibile del Cosmo.

«Registrazioni sul ciglio della strada. Impressioni a bassa definizione, sguardi sfuggenti o di passaggio, compongono un diario personale di viaggio.

Le immagini sono effimere, fugaci, come ombre viste dalla coda dell’occhio. Inciampi fotografici e strati digitali come estratti da un flusso di coscienza, un monologo interno allo spirito del viaggiatore disimpegnato, distratto, curioso.

[…] Il labirinto del linguaggio immerso in un tessuto urbano misterioso, un geroglifico sconosciuto.»

(S.R.)

«La poesia è continua tensione verso l’infinito.

La immagino come un arco, che recando in sé l’atto del tendere, crea movimento senza fine, vive di un perpetuo slancio che risuona nella quiete.

La penso in un luogo ignoto a scagliare frecce infuocate che spostano l’aria immobile, che la fanno brulicare, che spezzano la rigidità con cui spesso, tristemente, ci si protegge.»

La notte e le sue dannazioni, i suoi eccessi.

Baratro senza fine, solo l’amore con la sua decadenza, il vino col suo romanticismo, riescono ad alleviare il dolore e la sofferenza che aleggiano violente in ogni parola ed emozione.

Racconti di eccessi di droghe e alcool, di amori puri se pur fugaci e destinati a marcire prima che arrivi il giorno.

Ferite insanabili vengono fatte sanguinare fino a dissanguare l’amore e la speranza, barlume quasi impercettibile.

La poesia e il decadentismo saranno croce e delizia di una vita dannata.

“Abyssus Multa” è un esperimento sulla visione dell’ignoto; è un continuo conflitto tra demoni interiori e ripudio delle regole; una continua alternanza tra toni metaforici e malinconici, tra ironia e utopia; un invito a perdersi in un esaltante viaggio dell’anima.

«Allora su… pigroni, il libro si può leggere in pochi minuti così come ogni vita ha la sua durata mentre questa piccolezza che vi offro ha a che fare con l’eternità: dall’imponderabile grandezza delle vicende divine alla minuscola operosità di una formica, perché è forse proprio la fame innata di eternità a spingerci all’ascolto di qualsiasi storia che possa rappresentare un’estensione al racconto uni-verso dei nostri piccoli, grandi destini.»

Angosciante, lugubre e coraggioso, “Mia” tira i fili di marionette nell’ob sceneium, nel fuori scena, manovrando sesso e psiche nel chiaroscuro putrescente di malvagità patologica e innocenza disarmante. Decontestualizza paranoie, centrifuga paradigmi di sottoesistenze, intossica (o purifica?) palati di morbosa letteratura, applaudirà il vostro subconscio ammorbato di sotterranea poesia, ai nastri di partenza del viaggio fino al termine della notte.

Si potrebbe pensare a un portico sul mare, con una sedia a dondolo e una tazza di tè fumante sul tavolo, mentre le prime raffiche d’autunno spazzano il cielo. È questo il luogo ideale per un soliloquio, per un dire sussurrato di uomo solo, come annuncia la prima lirica di questo viaggio.

Il silenzio domina l’intera opera, è il custode di questo momento, di questo tempo poetico. Non c’è un interlocutore. C’è un flusso di pensieri, di incubi, di fantasie, di dialoghi (reali appartenenti al ricordo o immaginari?), di struggente dolore, di malinconia straripante. Il silenzio è allora il liquido amniotico, dal quale salgono, come se fossero bolle, sussulti, rotte parole, pronunciate a fior di labbra, pianissimo.

Al lettore spetta la bellezza di una lettura nuova, l’aggiunta di un nuovo significato, anche diverso e non previsto nelle intenzioni dell’autrice.

«La notte al buio è sempre notte.

Ha solo perso il suo vantaggio sul giorno, la scelta che l’uomo si è regalato, la lotta insensata contro la salvezza del tempo dilatato.

Gli occhi al buio sono sempre occhi.

Hanno solo perso confidenza, sterile sicurezza, sporca abitudine.»

In occasione del completamento del terzo anno di attività, un volume che raccoglie il meglio degli articoli, delle illustrazioni, delle grandi firme della Rivista Libereria.

«Per la prima volta ho capito che l’essere umano sceglie di non progredire perché sceglie di non fidarsi e di non credere alla trasformazione.

I retaggi del passato sviluppano radici oggi, in un terreno a quanto pare ancora fertile.

La gente non crede nel cambiamento e quindi continua a non fare oggi ciò che non avrebbe fatto ieri per la stessa ragione, come se la neve non fosse mai scesa, come se i cristalli non si fossero mai formati.

Oggi il veleno è considerato veleno proprio come ieri, e la possibilità che diventi farmaco giunge all’umano quasi fosse blasfema offesa.

Il male non esiste, e proprio per questa ragione ci saranno cose che non cesseranno di essere ma cambieranno radicalmente la loro funzione trasformandosi in nome della vita.»

«Ogni esperienza è un arricchimento per l’anima e, quando si raggiunge una discreta consapevolezza, si diviene consci di quanto quel dolore sia stato un’amara medicina, che ha portato in cambio una guarigione in grado di ripagare il sacrificio fatto. Quel raggiungimento dell’Elisir, che nei tarocchi è il punto di arrivo del viaggio dell’eroe. Fra i tanti percorsi possibili, ve n’è uno che non si sceglie quando si è già incarnati, bensì lo si decide prima di venire al mondo, se non addirittura molte incarnazioni prima.

Il legame fra Fiamme Gemelle non si spezza, passassero mesi, anni o svariati lustri. Quando questa separazione avviene, spesso senza un reale motivo a cui appellarsi, le percezioni dell’altro si acuiscono, rendendolo costantemente presente nella nostra vita, come se non se ne fosse mai andato.»