
«Mi chiamo Dante Bianchi, un nome impegnativo appoggiato su un cognome comune ma per il quale ho molto rispetto in quanto mi collega alla mia radice.
La professione che faccio mi porta a fare lunghe attese in mezzo alla gente e a passare parecchie ore dietro a un parabrezza.
Ascolto e vedo. Così mi muovo nel mondo e, come un rigattiere, raccolgo gli oggetti che mi incuriosiscono per dargli una seconda vita. Confesso che le storie che sento, raccontate dalle persone, hanno spesso profondità misteriose e ciò mi spinge a scrivere, per cogliere e fissare con l’inchiostro ciò che ritengo sia giusto debba rimanere, almeno per un po’.
Non lavoro da solo ma con una musa. La nostra è una squadra a due dove ciascuno dà il proprio contributo e l’opera che ne deriva si carica di un’energia che scatena una singolare corrente che viaggia tra due poli.
Nello sfrigolare di questo transito si ode la voce della poesia.»