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Alimentarsi è un sentimento
Ottobre 2020 – Noemi Agostino
Alimentazione: un ponte tra legami biochimici e socio-emotivi
“Alimentarsi è un sentimento, un atto di coscienza e insieme è motore propulsore di legami emotivi, di intrecci interpersonali ed empatia”.
Nutrirsi è uno dei bisogni primari degli esseri viventi, è l’atto primo da cui nasce la vita e che permette ad essa di continuare a esplicarsi, a riproporsi, a rinnovarsi, a esistere ricambiando le strutture e gli arrangiamenti atomici che la rendono viva e “respirante”.
È possibile percepire l’alimentazione come un semplice bisogno, slegato però dalle necessità di nutrimento della mente? Nutrirsi è nutrire ogni parte di noi, è permetterci di esistere in maniera diversa sia strutturalmente, ma anche funzionalmente, in quanto introdurre alimenti nel nostro corpo, le cui molecole vengono scisse, ricomposte e riutilizzate in base alle necessità, dal nostro organismo, è al contempo donare e ricevere energia: da utilizzare o immagazzinare.
È la modificazione di assets interni al nostro organismo, è smuovere qualcosa dentro. È inviare dei segnali che modificano un equilibrio che viene momentaneamente sbilanciato per poi essere di nuovo ripristinato e gestito in maniera fluida: fatta di continui aggiustamenti e piccoli interventi atti a mantenere uno stato di quiete interna. Quello che accade dentro di noi non è tanto diverso da quello che accade emotivamente a noi e attorno a noi, l’uomo nella sua vita sociale ha necessità di equilibrio, e quindi la condizione basilare è data dai tanti movimenti quotidiani, dalle azioni continue che mettono in pari i bracci della bilancia, continuando però a sbilanciarli per necessità di umano nutrimento: per profondo bisogno di cambiamento, di miglioramento sociale, emotivo, culturale.
Non sono forse anche questi dei bisogni primari? Ci si alimenta per un bisogno fisico, per una necessità di sopravvivenza, quindi per un sentimento legato ad esigenze biochimiche e metaboliche, che siamo capaci di percepire, di ascoltare, perché ogni parte di noi che costituisce l’uno organico, reclama questa necessità. Tuttavia, la questione non è puramente tecnico-naturale e cioè legata alla natura della nostra fisiologia, quindi a dei limiti costitutivi che ci portano a ricercare gli alimenti all’esterno. O meglio: il fattore limitante la possibilità di autoprodursi alimenti da sé, prerogativa soltanto dei vegetali, ci ha portato alla socialità. Il terreno comune di ricerca di nutrimento ha creato un terreno comunicativo e di legame sensoriale ed emotivo.
Quindi il limite alimentare di soddisfacimento legato ad esigenze biochimiche è divenuto punto di partenza per la nascita di un universo emozionale auto-intercosciente di relazioni. È divenuto fuoco gregario attorno al quale radunarsi. Perno autoreggente di legami empatici, intorno a cui gli uomini si prendono per mano.
Gesti condivisi, contiguità di intenti, curiosità di scoperta di altri sapori e di nuovi modi di alimentarsi ci portano a comprenderci meglio gli uni gli altri, a ricercare il terreno condiviso su cui coltivare l’identificazione di sé in sé e al di fuori di sé, nell’altro; a comporre insieme la melodia per l’ascolto di nuove note che ci porta a vedere che le differenze sono un ruscello che dà vita alla nascita di nuovi villaggi di idee, di campi fertili di costruzione comunitaria da arare con gli altri, per tutti.